L’uomo che rubò Banksy, il doc su un giallo 

Oggi e domani al Movieland di Chieti il film sulla storia del dipinto dello street artist senza volto sottratto in Palestina

PESCARA. Nel 2007 lo street artist universalmente noto come Banksy mette la sua firma anche sui muri di edifici privati e pubblici in Palestina. Qualcuno si offende per un dipinto raffigurante un soldato israeliano che verifica l'identità di un asino. A vendicare l’offesa ci pensano un imprenditore locale, Maikel Canawati, e soprattutto Walid, tassista del luogo. Con un flessibile ad acqua e l’aiuto della comunità, Walid decide di tagliare il muro della discordia. Obiettivo dichiarato: rivenderlo al maggior offerente.
È da qui che prende il via “L'uomo che rubò Banksy”, il film diretto da Marco Proserpio. Il regista narra la storia della prospettiva palestinese e la reazione di una comunità al linguaggio sfrontato della street art ripercorrendo la storia di un mercato nero illegale di arte rubata che diventa il pretesto per parlare dello scontro fra culture a causa di una situazione politica insostenibile. Prodotto dallo stesso regista e da Rai Cinema, il film arriva nelle sale del circuito The Space Cinema solo oggi e domani, 12 dicembre (in Abruzzo al Movieland Cinema di Chieti) con la voce narrante di Iggy Pop.
E arriva mentre a Banksy, che della lotta contro il sistema e il mercato dell'arte, della strada e soprattutto dell'anonimato – l’identità dell’artista e writer inglese rimane tuttora nascosta – ha fatto la sua “notorietà”,è dedicata per la prima volta in un museo pubblico italiano una mostra. È una retrospettiva non autorizzata (e come poteva esserlo?) – “A visual protest. The Art of Banksy” – al Mudec di Milano fino al 14 aprile 2019, curata da Gianni Mercurio, che raccoglie circa 80 lavori tra dipinti, edizioni limitate e numerate, fotografie, video, copertine di vinili da lui disegnate e memorabilia e porta le opere di uno degli artisti più discussi degli ultimi anni dalla strada alle cornici.
Il film è una sorta di manifesto sulla speculazione nel mercato dell’arte della street art, attraverso il confronto tra culture diverse in epoca contemporanea, una riflessione sul diritto d’autore, il copyright e la conservazione delle opere, finendo con l’interrogarsi sul senso stesso della street art, della Questione Palestinese e sull’affermazione dell’identità di un popolo attraverso la sua rappresentazione, la ribellione, la sopravvivenza e la legalità. Non è una storia, ma molte. Come l'arte di Banksy sarebbe priva di significato senza il suo contesto, così l'assenza di essa sarebbe priva di significato senza una comprensione degli elementi che hanno portato le sue opere d’arte da Betlemme a una casa d’aste occidentale, insieme al muro su cui è stato dipinto.
Il regista usa il celeberrimo artista come “esca”, per parlare non solo dei suoi meriti nell’arte dello stencil ma anche dei palestinesi, non come vittime, ma come individui che reagiscono a una provocazione. Innescando così il film stesso, girato nell'arco di sei anni, e inseguendo quell’opera, che da Betlemme raggiunge un collezionista di Copenhagen, ma anche Londra e Los Angeles.
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