La scomparsa di Federico Caffè un ex allievo riapre il caso

Bruno Amoroso in un libro ipotizza la fine dell’economista pescarese: ha trascorso gli anni che ci separano da lui tornando alla sua amata musica classica e al silenzio

La lista dei misteri italiani è lunghissima e il Caso Caffè è uno di essi. Ma nella nebbia fittissima che avvolge la scomparsa di Federico Caffè, all’età di 73 anni nel 1987, potrebbe essere diradata da un refolo di vento che arriva da un libro, le memorie di Bruno Amoroso, forse l’allievo prediletto dell’economista pescarese.

Romano ma originario di Rapino, 80 anni, Amoroso è un economista che, da molto tempo vive e insegna in Danimarca. “Memorie di un intruso” è il titolo del libro da poco pubblicato da Castelvecchi (185 pagine, 17,50 euro) in cui Amoroso lascia intuire la sorte di Caffè, nei giorni e negli anni successivi a quell’alba del 15 aprile del 1987 in cui si allontanò dalla sua casa nel quartiere Monteverde a Roma, per dileguarsi nel nulla. Un nulla fitto di ipotesi: da quella del suicidio a quella della volontaria reclusione in un convento. Amoroso non risolve in maniera recisa il rebus della sorte del suo docente alla Sapienza di Roma, non dirada completamente la nebbia che avvolge il destino dell’economista, ma fa capire che la vita di Caffè ebbe un epilogo diverso da quello tragico che il senso comune ha assegnato alla vita di uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento, che fu maestro di Mario Draghi, presidente della Bce, Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, e di tanti altri nomi di prestigio, da Marcello De Cecco a Giorgio Ruffolo, da Guido Rey a Enrico Giovannini. Lo fa in conclusione del penultimio capitolo del suo libro. A pagina 178, nell’ultimo capoverso prima dell’Epilogo, Amoroso scrive: «Federico (Caffè) capì la situazione prima di noi e ha trascorso gli anni che ci separano da lui tornando alla sua amata musica classica e al silenzio. Una volta lo interruppi in questo ascolto con una canzone di Lucio Dalla, Come è profondo il mare. Ascoltò in silenzio, accennò un grazie con la mano, e riprese l’ascolto di una sinfonia di Mahler».

Amoroso si riferisce alla disillusione di Caffè davanti all’avanzare di teorie come la supply side economics delle amministrazioni Reagan e Thatcher, quel «darwinismo shumpeteriano» (per dirla con le sue stesse parole), in contrasto con il keynesismo umanistico dello studioso pescarese. Ma il passo non è tanto interessante per questa individuazione della causa (più volte ipotizzata) del disagio esistenziale di Caffè, quanto perché l’ex allievo fa intuire una sua frequentazione del suo amico e maestro dopo quel fatale 15 aprile di 29 anni fa. Eccolo: Caffè, «ha trascorso gli anni che ci separano da lui tornando alla sua amata musica classica e al silenzio». «Gli anni che ci separano da lui». Anni in cui, aggiunge Amoroso, si colloca un episodio che lo riguarda: «Una volta lo interruppi in questo ascolto con una canzone di Lucio Dalla, Come è profondo il mare. Ascoltò in silenzio, accennò un grazie con la mano, e riprese l’ascolto di una sinfonia di Mahler».

Ma dove avvenne questo incontro?

L’allievo non lo dice. E’ qui che la scia delle ipotesi che la scomparsa di Caffè ha lasciato dietro di sé torna a riemergere. Si rifugiò in un convento, l’economista pescarese? L’ipotesi non è nuova e si riallaccia al libro che, all’alba del 15 aprile, Caffè lascio sul suo comodino della camera da letto dell’appartamento che condivideva con il fratello Alfonso: “Il caso Majorana”, il piccolo saggio che Leonardo Sciascia, dedicò alla scomparsa misteriosa, nel 1938, di un altro grande intellettuale italiano, il fisico Ettore Majorana, allievo di Enrico Fermi, uno dei Ragazzi di via Panisperna. In quel volume del 1975 lo scrittore sicliano avanzava un’ipotesi: che Majorana, spaventato dalle possibili conseguenze della scissione dell’atomo, si sarebbe ritirato dal mondo, rifugiandosi fra le pareti silenziose di un convento. L’idea che ci fosse un possibile collegamento fra l’ipotesi che concludeva il libro di Sciascia e il destino di Caffè l’aveva coltivata Ermanno Rea. In “L’ultima lezione”, il libro che nel 1991 lo scrittore napoletano da poco scomparso dedicò alla vita di Caffè, Rea interpellò Jesus Torres, sottosegretario della Congregazione per gli istituti di vita consacracata e le società di vita apostolica. E’ possibile scomparire in un convento? «La Chiesa», rispose Tores, «è disponibile a offrire protezioni di questo genere, purché ricorrano determinate condizioni».

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