Maradona, il mito con due anime in un film a Cannes

CANNES. «E che ve site perso»: questa la scritta, a caratteri cubitali, comparsa il 10 maggio del 1987 sul muro del cimitero di Napoli e rivolta ovviamente ai morti. Ma che si erano persi mai questi...

CANNES. «E che ve site perso»: questa la scritta, a caratteri cubitali, comparsa il 10 maggio del 1987 sul muro del cimitero di Napoli e rivolta ovviamente ai morti. Ma che si erano persi mai questi morti? Semplice: il giorno epocale della vittoria del primo scudetto del Napoli.
Questo solo uno dei tanti bei momenti del potente e straordinario documentario “Diego Maradona” del premio Oscar Asif Kapadia. Film passato ieri al Festival di Cannes fuori concorso e che arriverà nelle sale italiane a settembre. Si tratta di 500 ore di girato inedito commissionato dal primo agente del Pibe, Cyterszpiler, a due operatori che avevano la mission di seguirlo ovunque negli anni napoletani della sua carriera di novello gladiatore. Un documento esplosivo e pieno di ritmo, quello di Kapadia, a cui è mancata solo la miccia della presenza di Maradona sulla Croisette (il campione ha dato forfait per problemi alla spalla). Che si vede in questo film, ricco ovviamente di tanti materiali di repertorio? Si vede - come non a caso ricorda il titolo che separa opportunamente “Diego” da “Maradona” - che questo campione aveva due anime: quella popolare, da “villero”, che gli derivava delle sue origini nella bidonville di Lanus a Buenos Aires, di cui era fiero e che lo rendeva il “Diego” popolare dal cuore buono, e poi c'era invece “Maradona”, ovvero la superstar, quella figura che molti tifosi napoletani paragonavano a Dio. Di fronte a certi suoi gol si diceva: «Non li ha fatti Maradona, li ha fatti Dio». E ancora c'è il Diego che dice più volte nel documentario «Ogni volta che gioco a calcio penso solo a comprare una casa alla mia famiglia» e, invece, il Maradona, Pibe de oro, il campione che ostenta donne, cocaina e camorra.
Il film parte il 5 luglio del 1984, quando una squadra di calcio, non certo florida, acquista, rischiando la bancarotta, Diego Armando Maradona. Il campione è trascinato in una corsa folle in auto per le strade di Napoli fino allo stadio. Qui attraversando camminamenti sotterranei, proprio come un gladiatore, arriva alla conferenza stampa tra il tripudio dei tifosi. Un'accoglienza tanto rumorosa il che il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, minaccia di annullare la conferenza stampa di presentazione.
Si vede poi la conquista della Primera División, il Boca, la Coppa del Mondo, la Spagna, i trionfi napoletani (due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa) insieme alle sconfitte: oltre a cocaina e ai rapporti con la Camorra, ai figli nati fuori dal matrimonio con Claudia, agli scandali, alle intercettazioni, alle prostitute. E questo fino al grande “tradimento” che lo rese un diavolo per la maggior parte degli italiani e, soprattutto, per i napoletani, ovvero la semifinale del Mondiale del 1990, Italia- Argentina, la cosiddetta «notte degli errori», che si tenne nello stadio sbagliato (il San Paolo) e dove Maradona fu troppo bravo come al solito. Da allora la Napoli che lui chiamava «la mia casa», non fu più la stessa nei suoi confronti.
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