Marco D'Amore: «Con L'Aquila sono in debito» / Video

L'attore che interpreta Ciro Di Marzio di "Gomorra" al Festival della Partecipazione: ma della serie tv non parlo

L’AQUILA. Camicia bianca, occhiali scuri, cappellino nero, Marco D'Amore arriva all’Aquila portandosi appresso la sua bella faccia da duro, quell’espressione inflessibile che lo ha reso famoso nel ruolo di Ciro Di Marzio, il cattivo più cattivo della serie televisiva Gomorra, ispirata al romanzo di Roberto Saviano e arrivata alla terza stagione con grande successo. Di Gomorra però ieri sera non si è parlato. Stanno per uscire i nuovi attesi episodi e gli organizzatori del Festival della Partecipazione di cui l’attore era ospite hanno imposto, su indicazione della produzione, di non fare domande sugli sviluppi della storia perché il protagonista è legato a un accordo di “silenzio”.

Marco D'Amore a L'Aquila: "Con voi un debito morale, nel 2009 avrei dovuto recitare qui"
L'attore Marco D'Amore, diventato famoso come interprete di Ciro nella serie "Gomorra", a L'Aquila per il Festival della Partecipazione, parla del suo legame della città dove, con Tony Servillo, nell'anno del terremoto avrebbe dovuto portare in scena "La trilogia della villeggiatura". (video di Raniero Pizzi)

E lui non ha “sgarrato”, preferendo, per sua stessa ammissione, parlare dell’Abruzzo. A cominciare dall’Aquila e dalla sua ricostruzione. Marco D'Amore, di Caserta, classe 1981, uno che, come racconta lui stesso, non riusciva «a stare fermo sul banco di scuola», guarda attento i cantieri di piazza dei Gesuiti intorno a lui, e dietro il palazzo del Comune in cui i lavori devono ancora partire. «Verso questa città sento forte un debito morale», racconta, «nell'anno del terremoto si è conclusa un tournée storica a cui ho avuto la fortuna di partecipare, la “Trilogia della villeggiatura”, con la regia di Tony Servillo. Quattro anni di repliche, 394 recite. Le sei che mancano per arrivare a 400 sono proprio quelle che avremmo dovuto fare qui, quando la terra tremò».

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«Ecco perché sento di avere un debito morale. Abbiamo provato in tutti i modi a portare almeno una versione ridotta dello spettacolo nei campi che ospitavano gli sfollati, ma non ci è stato concesso, non è stato possibile». «Conoscevo bene L'Aquila, c’ero stato a recitare, me la ricordavo come una città dall'architettura imponente. Mi ricordo anche il suo motto, “Immota manet”, e oggi per me vederla così è il segno di profonda tristezza. Certo, è in corso anche un processo di bonifica che è lento e ostacolato da un percorso criminale che taglia il nostro paese da Nord a Sud. Ma io confido nella dignità e la forza di questa popolazione, da cui sono convinto debba partire il processo iniziale di rinascita, e come cittadino non perdo la fiducia nelle istituzioni e sono convinto che si farà di tutto per riportare questi luoghi allo splendore iniziale».
Pochi minuti prima incontrare la stampa, l'attore aveva partecipato al dibattito sul Diritto d'autore a fianco del vice presidente del Csm Giovanni Legnini. E nel suo intervento non aveva affatto sfigurato. «Usufruire della cultura con mezzi non leciti favorisce il mondo criminale», ha detto, «ma si danneggia anche chi partecipa al processo creativo. Però non posso neanche dimenticare che sì, ci sono persone che i 4 o 5 euro non li possono spendere davvero, eppure anche loro hanno diritto di godere di un grande film. Serve una coscienza collettiva, agevolazioni per godere della cultura. Penso alle leggi di tutela del cinema che ci sono in Francia, cosa che nel nostro paese non avviene. Penso alla distribuzione di film che hanno goduto di finanziamenti pubblici e che in Italia non vedono neanche la luce». «Spesso si sente parlare di ragazzini scalmanati che non riescono a stare fermi al banco. Io sono stato uno di quelli, e spesso si tende a castrare certe pulsioni. Questi ragazzi andrebbero invece sostenuti perché in loro spesso si nasconde la creatività». Un attimo dopo inforca gli occhiali scuri e calza la coppola, la macchina nera ad aspettarlo, e D'Amore sembra rientrare nei panni di Ciro: «Aggio parlato bene?».