Mario Pieroni: «Nel Dna di Pescara c’è una forza propositiva e arte viva» 

Gallerista, collezionista, mecenate e motore di talenti: ho spostato il pensiero dall’ottica di mercato al contenuto dell’opera, mi sono collocato fuori tempo indicando gli artisti in cui ho creduto

«È un po' come il rabdomante che cerca l’acqua. Io cerco l’acqua per trovare la vita. Non faccio l’artista, non ho mai fatto progetti né mi piacciono gli amarcord. Ma amo creare occasioni per stare insieme con gli artisti, fare cose insieme a loro. Cose che danno un senso alla vita». Per Mario Pieroni l’arte non è il mezzo ma il fine. Lo ripete con tono affabile e complice insieme. Mezzo secolo gomito a gomito con i nomi più illustri dell’arte contemporanea, intensamente e senza troppi calcoli, in un convivio mai interrotto. Incontri, discussioni, esposizioni in musei italiani e stranieri, happening, feste, cene, viaggi e daccapo. Un collezionista di rapporti umani. Oggi più che mai curioso e proiettato nel presente, pronto all’incontro e desideroso di stupore.
Pieroni, dice di amare la tavola come luogo della convivialità e gli aeroporti per il continuo passaggio, la possibilità di incontro. Per lei una molla che non si è mai allentata, è così?
Ho sempre cercato di rifuggire la solitudine, una dimensione che non mi appartiene. Mi sono sempre adoperato nel tenere vivo il rapporto con gli altri, e con gli artisti ovviamente. Stare insieme nella diversità, anche generazionale, serve a completarci, si sta meglio, ne abbiamo bisogno per arricchirci. Perciò l’arte è importante. Nell’arte ognuno è diverso, l’arte è nutrimento. Soprattutto, l’arte è di tutti, appartiene a tutti.
Sull’idea-utopia “realizzabile” dell’arte come bene comune e della cooperazione tra gli uomini, oggi spende le sue energie. L’installazione No Man's Land a Loreto Aprutino (nomanslandfoundation.org ) nata col il supporto della Fondazione Aria, è il museo senza pareti, un modello replicabile, aperto e inclusivo.
Sì, un progetto a misura d’uomo, che accoglie iniziative, artisti, comunità locali, istituzioni. Un “primo passo per reinventare l'umanità” abbiamo voluto scrivere nel manifesto della Fondazione Nml nata a Loreto, dove ho avuto la fortuna di incontrare un sindaco come Gabriele Starinieri.
Visionarietà, filantropia ecapacità di guardare oltre, anticipare. Lei nasce mercante d’arte e diventa gallerista, una metamorfosi compiuta.
Ho spostato il pensiero dall’ottica di mercato al contenuto dell’opera dell’artista, volutamente mi sono collocato fuori tempo indicando gli artisti in cui più ho creduto.
Il suo lavoro nell’arte inizia a Pescara nei ruggenti anni Settanta, gli anni in cui la città adriatica è stata sotto i riflettori dell’arte internazionale. Cosa immaginava a trent’anni?
Io non pensavo. Facevo. Avevo una mia famiglia, con due figli (uno è il poeta Daniele Pieroni, nato a Pescara, l’altro, Gianni, che collabora con il padre a Roma, ndc). Il mio modo di dare valore alla vita era ed è correre dietro ai desideri per realizzarli. In realtà non sai cosa farai, ciò che sai è ciò che desideri.
L’azienda di famiglia, fondata da suo nonno Mario Coen e poi diventata Coen e Pieroni, trattava mobili antichi, tappeti, stoffe. Cosa ha portato di nuovo nell’attività?
Con mia cugina Federica Coen nel palazzetto di famiglia Coen e Pieroni nel cuore di Pescara, mi sono dedicato alla riproduzione di mobili con gli arazzi di Giacomo Balla, che l’artista aveva sempre voluto realizzare senza mai riuscirci. Avevamo un laboratorio di restauro al secondo piano; gli arazzi erano realizzati dall’Arazzeria Pennese di Fernando Di Nicola. Le riviste di settore, Vogue, Bolaffi e Domus, ci riservarono copertine e recensioni. Frequentando molti artisti sono nati progetti poi a realizzati insieme.
Del tipo?
Su idea di Getulio Alviani nacque Dal mondo delle idee, prototipi di arredi d'arte, risultato della quotidianità vissuta insieme a Ettore Spalletti e Mario Ceroli, sempre legato al suo Abruzzo. C’erano poi Laura Grisi, Enrico Job, Concetto Pozzati e Paolo Scheggi”.
Cosa di più vi appassionava?
L’intenzione era di creare spazi artistici in cui fosse possibile vivere, un discorso allora probabilmente prematuro che ho ripreso recentemente. A Palazzo Coen-Pieroni collaborava con me Lucrezia De Domizio, mia amica d’infanzia, che in seguito aprì un proprio spazio in via delle Caserme. In tutto questo Pescara è stata sempre generosa, pronta e ricettiva.
Come spiega l’insorgenza del fenomeno Pescara nel ventennio ‘70- ‘92, artisticamente parlando?
L’apertura del mio primo spazio espositivo al Bagno Borbonico in via delle Caserme è del ‘75. Chi veniva si sentiva a casa, c’era tempo per stare insieme, artisti, artigiani, critici, collezionisti, scrittori. Uno spaccato della società italiana, europea, internazionale. Bisognava venire a Pescara per essere nel dibattito dell’arte, musica, letteratura, performance, anche politica. Pescara ha attratto tutti come una calamita. Non per posizione geografica, ma per una questione di sensibilità, forza dell’immaginario. C’era un clima di gioia. Che non significa usa e getta, ma semina e raccogli. Merz arrivò a definirla “Una domenica lunghissima”, per dire che nell’arte è sempre domenica.
Com’è oggi la città ?
Anche oggi Pescara vive di una forza propositiva, è nel suo Dna. Oggi mi confronto quasi giornalmente con i figli dei miei amici di sempre. All'università di Sassari abbiamo in corso la mostra "No Man's Library" con il partnerariato del Master in diritto ed economia per la cultura e l’arte / Deca master di cui Domenico D’Orsogna, figlio del mio grande amico Gianni, è direttore scientifico. Con Elena Petruzzi, figlia della mia grande amica e collezionista Maria, scomparsa di recente, che fa parte del cda di Nml Foundation; con Mario Di Paolo, premiato internazionalmente per la sua attività di comunicazione, figlio di Gino, mio compagno di strada da sempre.
Penso anche al grande lavoro che svolge la galleria di Benedetta Spalletti, figlia di mia cugina Federica. E penso a Germano Del Conte, lodevole per il suo entusiasmo nel valorizzare il territorio regionale; alla rivista Segno con Roberto Sala, figlio di Lucia e Umberto. Volentieri ricordo i vecchi amici, Luciano La Porta, Enrica Mariani, Franca Verlengia, Giuliana Carusi Setari, con cui collaboro attivamente. Le famiglie De Cecco, Antonio Feragalli, Capobianchi, esempi di una borghesia forte e disponibile, curiosa e sensibile al bello. Questa vitalità rende unica Pescara e va evidenziata. In più Pescara ha la fortuna di avere un artista come Ettore Spalletti che ha scelto di restare nel luogo dove è nato, Cappelle sul Tavo. Le cose bisogna saperle vedere, sentirle. E non aspettare di parlarne quando ormai non c’è più nessuno.
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