Mieli: «Tutti insieme nel Caos italiano senza alternanza» 

Il giornalista e storico presenta il nuovo saggio domani all’Aquila. «E’ stolto pensare a un mago che metta tutto a posto»

«Il caos italiano è un problema che dura da 160 anni, il problema di un sistema privo di alternanza, in cui tutti stanno con tutti. E’ stolto pensare che possa arrivare, a un certo punto, un mago che metta tutto a posto».
Il caos italiano di cui parla Paolo Mieli è quello che dà il titolo al suo nuovo libro – “Il Caos italiano. Alle radici del nostro dissesto” (352 pagine, 20 euro, Rizzoli) – che il giornalista e scrittore romano presenterà, domani alle 18 all’Aquila, nell’auditorium Sericchi, inaugurando la rassegna “Scrittori al Centro” organizzata dalla Fondazione Carispaq e curata da Greta Salve. L’ex direttore della Stampa e del Corriere della Sera parlerà del suo saggio con Fabrizio Marinelli, docente di diritto privato e di storia del diritto moderno all’università dell’Aquila. Mieli anticipa in questa conversazione con il Centro i temi del suo libro in cui affronta la questione delle radici della diversità del sistema politico italiano rintracciandole nel modo stesso in cui si è giunti all’unificazione del Paese.
«L’Italia», racconta Mieli, «fin dal 1861 non ha mai imparato a dividersi civilmente. Ha creato una retorica dell’unità e dello stare tutti insieme, che non è una virtù delle società moderne, che sono quelle in cui ci si divide ma ci si rispetta e ci si legittima a vicenda. Per cui, una volta governa uno e un’altra volta l’altro, e ci si dà il cambio per via elettorale. Il nostro modello, invece, è stato, fin dall’inizio, quello della comunione politica e del trasformismo che hanno portato alla paralisi del sistema. Una situazione in cui si fanno solo mezze politiche invece di politiche alternative. In questo sistema l’unico modo di passare da una fase all’altra è quello dell’infarto: nel 1928 la Marcia su Roma, nel 1992-1993 Tangentopoli , che segna la fine della Prima Repubblica».
«Insomma, si sta sempre tutti insieme nell’unica maniera parlamentare possibile, che è quella di mettere insieme tutti coloro che non sono anti-sistema. Nella Prima Repubblica era l’Arco costituzionale. E per tenere tutti insieme si trova sempre un buon motivo. Può essere la Guerra fredda o la crisi per il terrorismo. C’è sempre una ragione per non darsi l’alternanza come avviene in tutti gli altri Paesi dove le grandi coalizioni rappresentano sempre un’eccezione rispetto a una fisiologia diversa e ben chiara».
«Se c’è un dato storico o antropologico che aiuta a spiegare questa condizione? C’è il fatto che il Paese è stato unificato, fin dall’inizio, con minoranze che erano molto piccole. Dal Risorgimento fino ai giorni nostri, ci sono sempre state queste piccole minoranze che il popolo non avverte come proprie rappresentanze. Per questo motivo, il popolo è all’opposizione. Poi, periodicamente, arriva l’infarto del sistema. Sotto questo aspetto, la tanto vituperata Seconda Repubblica è stata l’unica vera eccezione della Storia italiana, anche se mancava la reciproca legittimazione di sinistra e destra. Ma, tanto hanno fatto e tanto hanno detto che dal 2011, con la caduta del governo Berlusconi e l’arrivo di Monti, siamo di nuovo in un’unità nazionale mascherata. E’ stato così con il governo Monti e così con quelli successivi, di Letta, Renzi e Gentiloni».
«Non credo che ci sia un carattere nazionale che possa spiegare questa costante della nostra Storia. Semplicemente perché non esiste, secondo me, un carattere nazionale degli italiani. C’è, però, un carattere delle èlite. Quelle italiane sono élite paurose, che pensano che, stando tutte insieme e proteggendosi l’un l’altra, si difendano dal pericolo di essere scalzate. Durante la Prima Repubblica sembrava ovvio che il sistema si sarebbe normalizzato e che sarebbe diventato virtuoso proponendo modelli di alternanza simili a quelli degli altri Paesi. Si pensava che con il tempo, non ci sarebbe stato più Berlusconi e che i post comunisti sarebbero diventati post, post comunisti. E invece è successo che si sono messi paura che Berlusconi non sarebbe finito con mezzi legali. Così hanno preferito mandare al governo Mario Monti per – complici due sentenze della Consulta – tornare al modello consociativo. E siamo ancora lì. Con le elezioni alle porte si discute già adesso di che bel pasticcio parlamentare si può fare fra sinistra e destra o pezzi di Cinque stelle e pezzi di destra, cioè come creare il clima in cui non è il popolo a scegliere».
«L’ideologia non ha più un peso nella vita politica italiana. Basta guardare la tv: tutti dicono di essere di sinistra o di destra, ma poi quando devono spiegare in che cosa consiste la differenza dicono più o meno le stesse cose: siamo dalla parte del bene contro il male, dei deboli contro gli oppressori. Non credo che ci siano personalità in grado di cambiare questo stato delle cose se non si prende coscienza del sistema che ho descritto con l’intenzione di modificarlo. Sette anni fa, magari, avrei detto Mario Monti. Sette anni prima, Mario Segni. Oggi qualcuno potrebbe dire Mario Draghi. Ma oggi nessuno di questi tre Mario potrebbe cambiare l’Italia».
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