«New York, a venture» il mistero abita a Central Park

Una pellicola del regista di Atessa Alessandro Fantini selezionata per il festival di filmmaker indipendenti Movies4Movies a Dobbs Ferry negli Stati Uniti

«Immagini evocative della città di New York e una storia visionaria: quest’opera rappresenta la vera essenza di ogni film indipendente che consiste, in definitiva, nello sfidare i limiti del cinema come mezzo espressivo». Sono i motivi per i quali la giuria del festival cinematografico Movies4Movies di Dobbs Ferry ha selezionato “New York, a venture”, il film di Alessandro Fantini, un regista di Atessa. La pellicola sarà presentata, il 25 febbraio, come unico film italiano, nella rassegna di cinema indipendente che si svolge nella cittadina, dieci miglia a nord di New York, la stessa in cui è cresciuto Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook.

“New York, a venture” è stato scritto e girato tra il New Jersey e Manhattan da Fantini, 39 anni, regista, pittore, compositore e scrittore, nonchè attore nel nuovo film "Omicido all'italiana" del comico teatino Maccio Capatonda. Il film completa la “Trilogia delle città dalla Mente nascosta” iniziata nel 2009 con il film mystery “Nepente” ambientato a Roma e proseguita con il lungometraggio sci-fi “Edonism” realizzato a Tokyo nel 2010. In uno stile obliquo tra docufiction e thriller, il film segue le vicende di Adam Clairfield, disoccupato dell'Ohio richiamato nella nativa New York dalla proposta di lavoro offerta da Kevin Alcott, lontano cugino che sta avviando una nuova misteriosa e rischisa impresa (la "venture" del titolo) nella Grande Mela.

«Costretto da una clausola di segretezza a comunicare con Kevin solo tramite email», racconta Fantini, «Adam vaga tra Port Authority e Central Park facendo affidamento solo sul suo smartphone, alla ricerca dei segnali wifi a cui agganciarsi per tenersi in contatto con il fantomatico cugino che continua a rinviare l'incontro, fin quando un incidente nei pressi dell’orologio di Delacorte non lo priverà sia del telefonino che della vista. Scoprirà tuttavia di essere in grado di percepire il colore delle voci umane, surrogato di quel segnale wifi che aveva inseguito per tutto il giorno, trovando in quella di Amy Bolnes, una ragazza fuggita di casa che recita poesie davanti a uno degli imponenti massi di schisti di Central Park, le tinte rivelatrici di una visione che li porterà a ricomporre insieme l'immagine perduta di un'infanzia consumata dalle fiamme di un altro, meno celebre incidente avvenuto a New York nel dicembre di quello storico 2001».

«“Nel vortice del Tempo/ Le torsioni del Fato/ Sono spirali giocose di un serpente giallo”. Incluso nel montaggio del mio documentario “Bryant’s ode”», racconta il regista, «il verso ricompare in una delle strofe della raccolta “Flames of Vision” recitate da Amy Bolnes, la protagonista del film interpretata dall’americana Kyrie Vickers, fornendo un faro sonoro ad Adam Clairfield, alias Craig Williams, piombato in una cecità improvvisa dopo essere stato colpito accidentalmente alla testa nello Zoo di Central Park. Il verso nel film dispiega un ampio ventaglio di significati, riferendosi in senso figurale sia all’elica del Dna, che riassume l’evoluzione della vita sulla terra nella Fontana della Pace, sia a quel rovesciamento che ha sconvolto le vite dei due protagonisti. Quello stesso evento traumatico che più di dieci anni prima li ha allontanati dalla città della loro infanzia, tornerà a farli incontrare attraverso arcani ingranaggi mossi dagli animali rotanti dall’orologio musicale di George Delacorte, dalle immagini sonore stimolate dalle voci dei visitatori del parco, e infine dalla musica d’organo della cattedrale di Saint John». La sinestesia, il fenomeno psichico che porta a vedere i suoni e a sentire i colori da cui Adam scopre d’essere affetto fin dall’infanzia, secondo il regista, «può considerarsi il culmine magico dell’atto artistico».

«Grazie ad essa», conclude Alessandro Fantini, «un’intera città può essere rivissuta come una sinfonia di colori nella memoria di un fuoco sacro, illuminando l’oscurità del quotidiano dove la gente s’illude di poter seguire la propria strada tenendo gli occhi aperti, ignari che, per usare le parole di Borges ad apertura del film “la cecità è una liberazione, una solitudine propizia alle invenzioni, una chiave e un’algebra”».

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