il saggio

“Noi siamo bruzzesi”, ritratto di una terra molto amata

Il giornalista Mauro Tedeschini racconta in un saggio il suo rapporto con la regione «Gli abruzzesi soffrono di eccessiva modestia che toglie l’ambizione di primeggiare»

«Noi siamo Bruzzesi»: si intitola così il libro che Mauro Tedeschini ha voluto dedicare all’Abruzzo, la regione in cui per quattro anni (dal 2012 al 2016) è vissuto e ha lavorato come direttore responsabile del Centro. Il volume (80 pagine, 12 euro, Edizioni Menabò), presentato al Buk, di Modena, il festival delle piccole e medie case editrici, è il diario di un giornalista del Nord innamorato dell'Abruzzo che traccia il ritratto di una regione che deve ripartire dopo la grande crisi economica e le tante calamità naturali che ha dovuto sopportare.

I campanelli d'allarme, secondo Tedeschini, 61 anni, modenese, sono tanti: i giovani che se ne vanno all'estero a cercare il lavoro che qui non c'è; lo spopolamento dell'interno; interi distretti industriali praticamente azzerati. Ma non mancano i punti di forza da cui ripartire per proiettare l'Abruzzo tra le regioni d'Europa salvaguardando una qualità della vita che resta tra le migliori in Italia. «Ma chi sono oggi gli abruzzesi?», si chiede Tedeschini, all’inizio del suo libro. «Ha ancora senso identificare un popolo con un luogo, in un mondo in continua migrazione? Come molte altre terre, ormai anche l’Abruzzo che ho conosciuto io è un laboratorio del miscuglio di razze e religioni che la globalizzazione sta mischiando un po’ dappertutto». Ai lati positivi di questa regione-laboratorio è dedicato un intero capitiolo del libro, intitolato “Benedetti abruzzesi”.

«Epperò», scrive Tedeschini, «bisogna parlare dei pregi degli abruzzesi, che sono tanti e anche importanti. Per esempio: non sono supponenti e tendono anzi alla modestia».

«Ci sono regioni e città d’Italia che si sentono protagoniste e tendono a trattare tutto il resto come un contorno insignificante. A cominciare dai romani, naturalmente, o da quel che resta dei milanesi, ancora convinti di vivere nella “capitale morale”. Per non parlare dei fiorentini che, avendo insegnato a tutti a parlare l’italiano, considerano tutte le altre inflessioni un ciarlare dialettale. Gli abruzzesi no, non si sentono primattori e a volte soffrono persino di eccessiva modestia, che toglie loro anche l’ambizione stessa di primeggiare. Le montagne? Bellissime, ma un abruzzese parlandone ti dirà subito: “Non si aspetti di vedere le Alpi, quelle sono tutt’altra cosa”. Il mare? “Sì, tratti belli ce ne sono, ma se può vada in Puglia”. Persino nello sport spesso ci si rassegna a un ruolo di comprimari, magari a vantaggio di squadre del nord che non vengono da centri più importanti delle principali realtà abruzzesi. Questa modestia, però, ha un’altra faccia della medaglia che chiunque rimpiange quando gli capita di lasciare l’Abruzzo: l’accoglienza schietta, sincera, immediata. Un abruzzese non ti guarderà mai dall’alto in basso».

«E non è un caso», prosegue Tedeschini, «se l’Abruzzo viene spesso citato dalle guide che consigliano ai pensionati americani in quale parte del mondo spendere il loro retirement. Qui la qualità della vita è buona, gli abitanti sono gentili e il clima è ottimo. Ci sono i vantaggi delle regioni del sud, ma senza pagare il pesante pedaggio alla criminalità organizzata che altre parti d’Italia devono tributare alla ’ndrangheta, alla camorra o alla mafia».

«E non è più l’Abruzzo selvaggio dei tempi che furono, che induceva il Boccaccio ad ammonire i viaggiatori che si avventuravano da queste parti a fare testamento prima di partire. Salvo le dovute eccezioni legate ad alcune zone, la sera te ne vai a spasso senza problemi e fare amicizia è la cosa più facile del mondo: gli abruzzesi sono affettuosi e, come si diceva, ospitali. L’unica cosa che non si può pretendere da loro è la puntualità: gli orari per gli appuntamenti sono dei vaghi riferimenti, non degli imperativi da prendere alla lettera. Lo sanno anche i preti, a cui capita di sentirsi candidamente chiedere: padre, a che ora comincia domenica la messa delle 10? Dando per scontato», conclude Mauro Tedeschini, «che nemmeno Nostro Signore, da queste parti, farà mai l’errore di arrivare puntuale».

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