Palazzo Perenich, la culla degli architetti abruzzesi 

Un volume con i racconti degli ex studenti della Facoltà universitaria pescarese Venerdì la presentazione all’Aurum con Enzo Fimiani e Franco Pasquale

Venerdì alle 17.30, all’Aurum di Pescara, sarà presentato il volume : “I racconti di Palazzo Perenich”, edito da Tabula Fati di Chieti. Il libro contiene 26 racconti, tutti ambientati nel Palazzo Perenich, in viale D’Annunzio a Pescara, costruito da Antonino Liberi, a imitazione del Rinascimento fiorentino, che ospitò, dal 1972 al 1985, la Facoltà di architettura di Pescara. Dopo quasi mezzo secolo, quella generazione di architetti che, furono i primi a potersi laureare in Abruzzo, (le loro matricole erano 1,2,3 ecc) tornano a rivivere quei tempi e quelle esperienze e a ritrovare nel passato quei momenti di formazione umana e professionale che furono poi preziosamente messe al servizio della città e non solo. Il libro sarà presentato dal sindaco di Pescara, Marco Alessandrini, e da Enzo Fimiani e Franco Pasquale, autori della prefazione e della postfazione, con il coordinamento di Alessandro Sonsini. L’ingresso è libero. Pubblichiamo qui uno dei 26 racconti del libro, quello scritto da Lucio Zazzara, architetto e docente di urbanistica alla d’Annunzio, intitolato “L’esame di restauro”. (g.d.t.)
di LUCIO ZAZZARA
Sono seduto sul muretto della loggia al secondo piano, appoggiato alla colonna, come faccio spesso, col brivido di guardare in basso, ma senza poter resistere. Guardo l’orologio e me ne accendo un’altra. Mi piace fumare, ma soprattutto trovo irresistibile la prima boccata. Lì in fondo la vedo passare, veloce ed elegante: un attimo e scompare in direzione delle scale. Mi emoziona vederla, anche se stiamo insieme da cinque anni; mi emoziona sempre. Mi ravvio i capelli e mi do un’aria da tipo vissuto.
«Scommetto che ancora non c’è,» mi dice, sorridendo, mentre si avvicina. Ci baciamo e sento sotto le mani i suoi capelli lunghi e morbidi, raccolti in parte in una coda. Profumano di lei. Dimentico quasi che fra poco avrò l’esame di Restauro, l’ultimo.
È pettinata come il giorno che le ho parlato per la prima volta, su quell’autobus che andava giù per la via regina Margherita, dritto verso il Liceo Artistico e verso la casa di Franco: la mia meta di sempre.
L’avevo già vista un paio di volte e mi era piaciuta subito, ma mi pareva troppo lontana, abitante di un mondo diverso, di quella Pescara-bene che avevo conosciuto da povero paesano, arrivando al quarto Ginnasio. Vestita così, con quel vestito corto di un tessuto tweed particolare, grigio ma con punti di lana grossi, bianchi e neri; e le scarpe in vernice rossolacca; Dio che belle!
Avevo trovato il coraggio di parlarle: «Ciao ti ho vista qualche volta. Ma che vai al Liceo Artistico?»
«Sì anche a me piace, ma ho fatto il Classico.»
«Dipingo, sai? E sono molto amico di tutti gli artisti pescaresi: Summa, Spalletti, Del Greco, Di Blasio. Ti ricordi la G3?»
«Al Liceo c’insegno, come assistente della Menè,» mi aveva risposto.
Incassata la pugnalata allo stomaco, avevo trovato il modo di darle il mio numero di telefono e di chiederle cosa le piacesse bere: Vodka, naturalmente! Ciao, ciao.
Incredibile, dopo un paio di settimane mi aveva chiamato lei. Abbiamo scherzato tante volte ricordando la velocità con cui mi ero precipitato sotto casa sua; dicevamo che io ero lì prima che avesse avuto il tempo di riattaccare.
Avevamo bevuto quella vodka e poi eravamo saliti a casa sua. Mi aveva chiesto di vedere il mio piede, eccheccazzo! Non mi erano mai piaciuti i miei piedi; e non ero sicuro che non puzzassero; ma lo feci, mi tolsi scarpa e calzino e dissi dentro di me che, con quello, era già finita prima di cominciare. Lo aveva guardato senza dire nulla e poi avevo rinfilato tutto alla velocità della luce.
Non so com’è, ma da allora non abbiamo mai smesso di stare insieme. Io continuavo a fare sempre un po’ il duro, ma era lei che mi apriva alla vita, che mi insegnava mille cose e che sapeva ispirarmi e darmi forza. L’amavo davvero e mi sembrava di capire perfettamente cosa fosse l’amore: era quello. Ho fatto tutta l’università con lei, sempre insieme.
Eccola! Arriva la Esposito; si è decisa finalmente! Sembrava che fossimo soli ma in un attimo sono comparsi una ventina di persone per vedere l’esame.
Tutti quanti sanno degli scazzi che ci sono stati durante il corso e nessuno vuole perdersi l’epilogo di questa storia di antipatie e scontri polemici.
La Prof è una donna che mi è sempre parsa inacidita dalla vita; ma il rapporto si è rovinato irrimediabilmente quando ho scelto di fare la tesi con Cuzzer invece che con lei e sono andato a dirglielo. Non sapevo che tra loro non correva buon sangue.
L’esame è stato un duello senza risparmio di colpi; io provavo a usare il fioretto, ma lei calava di sciabola. Alla fine un brutto voto, scontato: Venti, ma in bocca il sapore di una vittoria.
Molte pacche sulle spalle. Vado giù per le scale abbracciato alla mia ragazza.
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