Giacinto Palmarini in una scena del Macbeth

L'INTERVISTA

Palmarini: «Faccio l’attore perché voglio attraversare tante vite» 

Teramano doc, interpreta personaggi scespiriani e classici greci: «Sono stato Mercuzio, Macbeth, Oreste: il teatro mi permette di scoprire le sfumature dell’animo umano»

Una vita non basta quando l’immaginazione è grande e la voglia di attraversare con corpo, testa e anima i sentimenti, i pensieri, le storie di personaggi della letteratura e del cinema è forte, non sopprimibile. Il mestiere dell’attore consente a Giacinto Palmarini di realizzare un desiderio che nella maggior parte delle persone passa affacciandosi all’età adulta e che invece negli artisti resta vigile e imprescindibile anche a 90 anni: vivere più esistenze, tutte con uguale robusta intensità.

leggi anche: In scena dal ’95 con i più grandi  Giacinto Palmarini è nato a Teramo il 21 agosto del 1970. Si è diplomato all’Accademia d'Arte drammatica "Silvio D'Amico" di Roma nel 1995. Da allora ho condotto la professione dell'attore di prosa e...

E il teatro, soprattutto ma non solo, consente a questo animale da palcoscenico nato a Teramo 48 anni fa, di far volare il suo sogno di ragazzino di immergersinelle avventure di grandi personaggi con un rigore professionale che poco o nulla concede all’improvvisazione e una passione che si nutre di studio e lavoro, molto lavoro. Il suo destino sembrava segnato: vissuto a Teramo fino all’età di 18 anni, si diploma al liceo classico con il massimo dei voti e frequenta il biennio di ingegneria civile nelle università di Padova e L’Aquila per seguire le orme paterne, ma, benché in regola con gli esami, tutto cambia con la frequentazione nel 1990 dei corsi di teatro dell'Associazione Spazio Tre condotti da Silvio Araclio: non vorrà più lasciarela scena e si iscrive nel 1992 all'Accademia nazionale d'Arte drammatica “Silvio D'Amico” di Roma dove si diploma nel 1995. Da allora è attore di prosa e cinema con risultati di rilevanza nazionale e internazionale.

Il Giulio Cesare di Toti con Giorgio Albertazzi e Giacinto Palmarini

Palmarini, cosa le piace della scena?
Quello che mi asfissiava della vita era l’essere uno, in una sola esistenza. Volevo poter immaginare di essere in situazioni in cui la vita forse non mi avrebbe portato. Poi la curiosità per le persone, i lati in luce e oscuri, “entrare” nelle esistenze e capire l’agire e il sentire degli altri nelle diverse situazioni. Certo l’aspetto istrionico c’è, legato all’esaltazione che l’attore ha quando partecipa di queste vite.
Quando è cominciata l’avventura del palcoscenico?
Dentro di me abbastanza presto, ma la scelta è stata travagliata. A 18 anni volevo fare il Dams, mi vedevo nel mondo dello “spettacolo”. Mio padre, dopo un silenzio imbarazzato, disse (in dialetto): lu fija mì nn scherzem’. Lì per lì rinunciai e comincia a fare a ingegneria. Ero appassionatissimo di cinema. Tra i primi amori c’è Ingmar Bergman, ci passavo il pomeriggio a vedere e rivedere i suoi film. D’estate, facevo su e giù nella calura di Tortoreto immaginando un mondo lontano, riprese, scene.... Studiavo, ma sentivo di sprecare i miei venti anni, di tradire i miei sogni, le aspirazioni. Ed è arrivato Spazio Tre, con Silvio Araclio, che ha stimolato il mio appetito artistico. Poi studiavo all’Aquila e qui frequento il Tsa di Lorenzo Salveti. E ho scoperto che essere attori non è, solo, essere saltimbanchi, la cosa andava aldilà del pregiudizio di provincia, questa roba ha una dignità che fa per me, mi dissi. E scelsi.
Cosa è per lei recitare?
Diciamo che entrare nei personaggi e nei secoli, essendo io un frequentatore di classici ma anche del teatro contemporaneo, per me vuol dire entrare dentro una cifra umana, sempre, una specie di viaggio nell’animo umano. È la cosa che mi affascina di più, mi ha portato a fare percorsi personali e capire la vita di tutti i giorni e le ragioni dell’anima.

Giacinto Palmarini

A guardare il suo curriculum si nota una preferenza per i “tragici”.
Sì, ma ho fatto anche commedia, ho lavorato ad una con Beppe Barra. Ma scarseggia da noi una cultura della commedia. Nei teatri stabili è difficile trovarne. Non è questione di corde dell’attore, ci sono meno occasioni, soprattutto non c’è una tradizione della commedia brillante, intelligente, se non torni al solito Goldoni non è un genere italiano molto frequentato. E poi la smentisco, lavoro al Teatro stabile nazionale Città di Napoli, e al Mercadante ho recitato in napoletano nella commedia Pigmalione di George Bernard Shaw, traduzione di Manlio Santanelli, in dialetto napoletano.
I personaggi interpretati preferiti?
Uno è Mercuzio, nel Romeo e Giulietta di Maurizio Scaparro, che mi ha “lanciato”. E il più recente Macbeth di Daniele Salvo, che abbiamo fatto al Globe di Proietti a Roma lo scorso anno, tanto pubblico, tanta soddisfazione. Ma anche l’Orestea di Eschilo, regia di Luca De Fusco. Molti di quelli fatti al teatro di Siracusa frequentato per 4 anni con i tragici greci, e penso agli Uccelli di Aristofane di Roberta Torre. Dell’Oreste mi intriga l’attraversare il confine tra le leggi arcaiche del sangue e la nascita di una società che le modera. Quello che non posso permettermi nella vita, il rapporto con il terrore e l’orrore, lo esorcizzo in un esercizio catartico nella tragedia greca. Lo stesso per Macbeth, ma qui con il gusto della modernità e l’addentrarsi nei piani del grottesco.
Con quali attori ha avuto finora maggiore sintonia sulla scena?
Ne dico solo uno, purtroppo defunto, Giorgio Albertazzi.
Ora con chi sta recitando e cosa?
Con Eros Pagni, nella Salomè di Oscar Wilde, lui è Erode io Giovanni Battista, facciamo le prove a Napoli e debutteremo il 21 giugno al Teatro Grande di Pompei. Regia di De Fusco.

Ennio Flaiano e Federico Fellini
E il cinema? Lo frequenta poco come attore, perché?
La mia prima passione è stata il cinema. E ci lavoro. Ho pure partecipato a film di successo come “La verità, vi prego, sull'amore” di Francesco Apolloni, “Le intermittenze del cuore” di Fabio Carpi, e per la televisione “Il giovane Casanova” di Giacomo Battiato. Ma preservo una certa idealità. Il mondo produttivo italiano è piuttosto scadente, per motivi strutturali: ci sono molte inutili figure intermedie tra regista e attore, invece due artisti devono parlare in maniera fiduciaria, non tramite agenti, casting, figure di esiguo spessore culturale. Penso al mondo di Fellini e Flaiano per intenderci. Le cose belle nascono da incontri da cui scaturiscono energie e contenuti e ti danno forza. Non ho voglia di correre dietro a persone non necessarie al fine. Sono per la “ filiera corta”.
Con quali registi le piacerebbe lavorare?
Mi piace tanto Matteo Garrone, eppure usa un linguaggio che non ha a che fare con me come attore, invece Sorrentino, che mi piace meno, e ha un linguaggio più vicino alle mio corde. Preferisco essere spettatore, e di pochi film ma belli.
Nel 2011 ha fondato il marchio “Officina biologica”, a Roma: un laboratorio gastronomico, un pub e un ristorante pizzeria che promuovessero cibi biologici di qualità. Cosa rapporto ha con il cibo?
Mangio bene, normale. Quell’esperienza mi ha fatto conoscere le difficoltà imprenditoriali in Italia, ho scoperto che economia reale e contenuti passano in secondo piano. Il sistema non sorregge piccoli imprenditori. Ma è stata una bella esperienza, la gente ci amava molto.
Nasce da qui il salto nella politica?
La politica è da sempre una mia passione, poi dal 2010 mi sono iscritto al blog dei 5 stelle, interessato ai contenuti di ricerca politica di Grillo. Nel 2014 sono stato anche candidato nella mia città, Teramo. Poi ho lasciato.
Ha fiducia nel cambiamento oggi?
Ho la speranza più grande e la paura più grande. La speranza che le cose possano cambiare realmente e il timore che non cambino affatto. Ma il tentativo va fatto.
Teramo e l’Abruzzo: come li vede?
I miei figli sono a Firenze con la madre, io a Napoli e in giro, a Teramo ci sono i miei genitori, i miei affetti di sempre, torno spesso. Ma l’Abruzzo lo vedo buio e depresso, emblema di ciò che succede oggi, con giovani di talento che vanno via. Una regione che non ascolta, che ignora le proprie potenzialità, non ne ha coscienza e conoscenza. Poco orgoglio.
È innamorato?
Sono solo.
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