Vita, morte e amori degli ebrei internati a Casoli

Il ricercatore Lorentini ha setacciato per 3 anni migliaia di documenti dell’archivio comunale

CASOLI. Un progetto di documentazione on line sul campo di concentramento di Casoli è stato realizzato da un giovane casolano, Giuseppe Lorentini, lettore di italiano all'Università tedesca di Bielefeld (Nord Westfalia), che per tre anni si è dedicato alla ricerca degli internati nel suo paese nel periodo 1940/43 studiando, scansionando e rendendo consultabili 3.711 documenti contenuti in 212 fascicoli conservati presso l'Archivio storico del Comune, dalla cui amministrazione ha avuto collaborazione e patrocinio. Il sito www.campocasoli.org, secondo il noto ricercatore Francesco Di Cintio, si avvia ad essere un «vettore della memoria, cioè uno strumento in grado di tramandare e custodire la cultura della memoria legata alla seconda guerra mondiale». In realtà il «sistema concentrazionario fascista», come lo chiama Lorentini, aveva attivato in provincia di Chieti una ventina di «campi» in altrettanti comuni (Archi, Atessa, Bomba, Bucchianico, Casalbordino, Castelfrentano, Castiglione Messer Marino, Fara Filiorum Petri, Gissi, Guardiagrele, Lama dei Peligni, Lanciano, Orsogna, Ortona, Paglieta, Palena, Rapino, S. Vito Chietino, Scerni, Tollo, Torricella Peligna, Vasto e Villa S. Maria), ma la documentazione presente nell'Archivio storico casolano è completa grazie ai documenti degli stessi internati (inizialmente ebrei polacchi residenti a Trieste, e poi politici italiani fino all'8 settembre), consistenti in lettere, carte di identità, fotografie. Secondo Lorentini «sono pochissimi i comuni italiani sede di campi di concentramento o internamento ad aver conservato i fascicoli personali degli internati». Molti di questi sono stati «mandati al macero per superamento dei prescritti limiti di conservazione», come comunicò la Questura di Chieti nel 1956. Così che migliaia di nomi e di volti (moltissimi ebrei deportati in seguito ad Auschwitz) sono scomparsi definitivamente dalla memoria. Lorentini, invece, ha potuto salvare i nomi e i volti di 106 internati ebrei stranieri passati per Casoli, di cui otto finirono ad Auschwitz ed uno alla Risiera di S. Sabba (Silvio Berl, Arturo Fuerst, Isacco Harnik, Siegbert Herzberg, Woichen Hochberger, Giacomo Nagler, Salo Nagler, Maximilian Segall, Giuseppe Hassid). Sul sito campocasoli.org è così possibile leggere le lettere che gli internati ricevevano dalle famiglie, i problemi causati dal distacco forzato, i legami coniugali che si rinforzavano fino all’inverosimile, come testimoniato dalla drammatica missiva di Betti Abrahamson, da Trieste, al marito Arturo Fuerst («ho un tumore all'utero e dovrò operarmi, ...ma senza la tua presenza non mi lascio operare»).

Morirono entrambi ad Auschwitz. I posti di internamento, fin dal 1940, furono il seminterrato del vecchio municipio (molto umido, adibito anche a cinema e a scuola di avviamento professionale, ricordato recentemente da una lapide del Comune) e la dependance di Palazzo Tilli, più vivibile. Il progetto Lorentini suscita i ricordi dell'ex-preside Filippo Travaglini, tredicenne in quel periodo, che conobbe alcuni degli internati ebrei, dei quali ricorda la discreta eleganza, una buona disponibilità economica, la cordialità nei rapporti con la popolazione residente, gran parte della quale, però, «era indifferente alla loro sorte» precisa Travaglini «nel senso che mancava di istruzione e informazioni adeguate. Era un difetto di cultura» aggiunge Travaglini «che però va inquadrato nel contesto storico di allora, e che oggi può suscitare meraviglia». Nella bibliografia di Lorentini (amplissima) è presente un libro di pochi anni fa scritto da Livio Isaak Sirovich, “Non era una donna, era un bandito”, sui rapporti burrascosi tra Kubi Nagler, internato a Casoli, e la sua fidanzata Rita Rosani, morta partigiana sui monti della Valpolicella ad opera dei repubblichini fascisti. Una vicenda conosciuta anche da Travaglini, che ricorda una ragazza casolana invaghita di Nagler, defunta ultranovantenne pochi anni fa, ma anche un'altra ragazza, figlia di un ristoratore, morosa di un internato ebreo benestante, che nel dopoguerra tornò a Casoli, la sposò e la portò con sé a Milano, cambiando la vita a lei ed alla sua famiglia. Un lieto-fine che non molti ebrei e “gentili” di quel tempo hanno potuto raccontare.

Gino Melchiorre