Anziana morta, sospetto di mucca pazza 

Al vaglio dei medici le cause del decesso di una 80enne. Eseguita l’autopsia, ma gli esiti si conosceranno tra mesi

L’AQUILA. Ci potrebbe essere l’ombra della “mucca pazza” nella morte di una donna aquilana che era ricoverata al San Salvatore con alcuni sintomi che potrebbero far dedurre quella patologia. La vittima è una donna di circa 80 anni alla quale è stata fatta l’autopsia per svelare le ragioni del decesso. L’esame autoptico è stato effettuato nell’obitorio dell’ospedale aquilano all’anatomopatologo Giuseppe Calvisi. I sospetti restano, ma la parola definitiva sulla causa potrà scaturire solo da analisi (biopsia su alcuni tessuti) che sono state inviate in un laboratorio specializzato di Bologna con tempi non molto brevi quanto agli esiti.
Stando ai primi accertamenti l’anziana potrebbe essere stata vittima della malattia di Creutzfeldt-Jacob, ovvero la variante umana all’encefalopatia spongiforme bovina che causa danni irreversibili al sistema nervoso centrale dell’animale o dell’uomo. Si tratta, a scanso di equivoci, di una patologia quanto rara tanto incurabile. Non ci sono, dunque, particolari motivi di allarme per la “mucca pazza” intesa come malattia trasmessa quando una persona sana ingerisce qualche tessuto di bovino malato. L’Italia è un Paese a rischio trascurabile. L’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), che procurò allarme all’inizio del 2000, è ormai debellata in tutta Europa. Drastico il calo di contagi registrato dal 2001 al 2012: da 2166 ad appena 16 casi. L’emergenza è ormai alle spalle. Questo è stato possibile con lo stop al consumo di farine animali negli allevamenti ed eliminazione, prima della macellazione, di tutte le parti del corpo in grado di trasmettere la malattia dai bovini all’uomo: come il cranio, la colonna vertebrale e l’intestino. Così l’Italia è riuscita a limitare i danni. Tra l’altro, bere latte di una mucca affetta da Bse non è sufficiente a causare l’equivalente della “mucca pazza”.
Si tratta di una malattia scoperta oltre 30 anni fa in Gran Bretagna, a seguito del crescente numero di morti tra i bovini: fino anche a cento al giorno. Le ricerche, però, si sono intensificate nei dieci anni successivi, dopo aver visto che disturbi simili si manifestavano anche nell’uomo. Ora i casi di pazienti colpiti da questa variante sono estremamente rari. Inoltre, si tratta di una malattia che può avere un decorso lunghissimo prima di essere scoperta, ovvero della durata di molti anni.
La malattia nell’uomo dipende dall’alterazione della struttura di una particolare proteina, chiamata proteina prionica. Le cause sono varie: genetiche o indotte da rari trattamenti medici.
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