Area di Santa Croce Appello al Comune: vogliamo rientrare 

L’inchiesta del Centro: le 20 famiglie ancora senza casa  chiedono un cronoprogramma al sindaco Biondi

L’AQUILA. La riqualificazione dell'area “Santa Croce” _ a due passi dal palazzo di giustizia _ nel 2012 viene inserita in un generico quanto sterile _ dal punto di vista normativo _ piano di ricostruzione del capoluogo e delle frazioni (concepito dopo aspre polemiche con la struttura del commissario Gianni Chiodi allora ancora in carica).
IL PROGETTO INIZIALE.
La riqualificazione prevedeva demolizione e ricostruzione degli edifici residenziali esistenti, oltre all’inserimento di parcheggi sotterranei e percorsi pedonali. Inoltre il progetto stabiliva: adeguamento di via Arco Santa Croce ai criteri di sicurezza e accessibilità; allargamento dell’Arco Santa Croce; nell’ambito dello sviluppo progettuale sarà valutata l’opportunità di modificare l’assetto urbanistico dell’area per riorganizzare la distribuzione dei carichi insediativi attraverso il ricorso a strumenti perequativi anche con riferimento ad altri ambiti di ricostruzione. Inizio lavori: 2012. Durata lavori: 3 anni
Fra il 2012 e il 2013 su sollecitazione del Comune i tecnici dei privati elaborano ben quattro “proposte di intervento ambito B area a breve Santa Croce” e partecipano a decine di incontri con l’amministrazione per apportare le modifiche richieste. Ma nulla si muove nel concreto. L'area a breve diventa una via crucis (e non solo per il nome).
Il Comune affida un incarico esterno dal costo di circa 20mila euro per trovare una via di uscita. L'obiettivo dell'amministrazione è il cosiddetto “diradamento edilizio”, cioè eliminare uno o più palazzi. Per far questo bisogna convincere alcune famiglie ad andarsene. Gli strumenti ci sono: alloggi equivalenti (la pratica _ ti do i soldi e tu ricompri altrove _ a parole è stata sempre avversata dagli amministratori ma almeno in questo caso è stata incentivata) o di permute (nel caso di seconde case).
Molte accettano pur di rivedere in tempi brevi una casa vera. Il palazzo 31 (quello ancora in piedi) viene abbandonato da 8 famiglie su 8. L'ufficio speciale istruisce le varie pratiche e sembra aprirsi uno spiraglio.
IL CASO PORTA BARETE.
Ma intanto fra il 2014 e il 2015 si accende il dibattito sulla proposta di riportare alla luce “l'anti-porta Barete” (la porta vera e propria pare sia crollata nel terremoto del 1703 e non più ricostruita) e il gioco delle tre carte (palazzi da abbattere, palazzi da ricostruire, palazzi da spostare) giunge al suo apice. Basta dare uno sguardo alle cronache per rendersi conto di come la faccenda si faccia, con il passare dei mesi, sempre più intricata. In seguito al caso “Porta Barete” agli inquilini del palazzo 207 (la cui eliminazione è funzionale al nuovo progetto di riqualificazione) viene proposto di spostarsi dove c'era il 33 senza però che gli inquilini del 33 ne sapessero _ ufficialmente _ nulla. Ai residenti del 33, dopo lunghi e sfibranti incontri, viene proposto di andare al 31 che intanto si stava svuotando con la storia delle permute e delle case equivalenti.
SCENDE IN CAMPO IL TAR.
A questo punto entra in gioco la giustizia amministrativa. I condomini del 207 si oppongono al decreto 18 del 20 ottobre 2014, emesso dal direttore regionale ad interim per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo, Francesco Scoppola, che prevede il vincolo per la zona di Porta Barete ritenuta di interesse storico. Nel marzo 2015 il Tar dà ragione al 207 e sospende il decreto. La soprintendenza fa sapere che la decisione deriva da un vizio di forma: la comunicazione dell'avvio del procedimento e il vincolo sarebbe stata data al condominio inteso nella sua generalità e non ai singoli condomini. E infatti il vincolo viene riproposto. Altro ricorso al Tar ma nel novembre 2016 i giudici dicono no alla sospensiva chiesta dal 207.
Nel gennaio 2017 il Tar dà ragione al Comune anche nel merito in quanto _ udite udite _ l’atto notarile del 1933 con il quale il Comune dell’Aquila aveva ceduto a privati una porzione delle mura urbiche è nullo. Peccato che dal 1933 (in pieno Ventennio) nessuno si fosse accorto di quella nullità. Nel frattempo il 33 fa ricorso a sua volta al Tar per avere subito i fondi e ricostruire dov'era. Il tribunale in primo grado dà ragione al 33 ma il consiglio di Stato ribalta tutto di nuovo. La strada per concretizzare il progetto porta Barete sembra aperta. Il Comune rende noto che con l'accordo di tutti il 207 sarà spostato a Villa Gioia dove nel 2009 c'era la sede dell'Istituto tecnico commerciale e in origine quella delle Magistrali; il 33 andrà al posto del 31 e tutti saranno contenti. Forse.
L'ENNESIMO RICORSO.
Il tempo passa e a giugno 2017 cambia l'amministrazione comunale. Pochi giorni dopo l'insediamento del sindaco Pierluigi Biondi, al Comune viene notificato l'ennesimo ricorso al Tar. Lo presenta un imprenditore che ha delle attività commerciali su via Vicentini.
L'imprenditore si oppone alla delibera di giunta comunale numero 159 del 31 marzo 2017 (che seguiva la delibera di consiglio comunale 46 del 13 giugno 2016 sulla ratifica dell'accordo di programma) relativa all'approvazione del progetto unitario “Santa Croce/porta Barete” e che in teoria doveva mettere la parola fine alla vicenda. Nel ricorso si contesta il fatto che il progetto, così come concepito, finirebbe per isolare le attività commerciali di via Vicentini che fanno capo all'imprenditore con conseguenti gravi danni economici. Si attende il pronunciamento del Tar.
QUESTIONI ANCORA APERTE.
Al di là dei torti e delle ragioni la zona di Santa Croce, da area breve, è diventata area a lunghissimo termine. Chissà come e quando verrà “riscoperta” porta Barete (o quello che ne resta), ma la cosa più incredibile è che c'è gente che attende da anni di rientrare a casa e le questioni aperte sono ancora molte anche a prescindere dall'ultimo ricorso al Tar. Eccone alcune: 1) Il civico 31 deve essere ancora abbattuto: quando tempo ci vorrà ancora? 2) Il civico 33, secondo il progetto deve ricostruire sull'area del 31, dove un proprietario deve ancora ottenere la permuta: i tecnici non presentano il progetto perché, dicono, non si può su un terreno che non è di proprietà. 3) Devono essere fatte le convenzioni dal notaio, che non sono cose che si fanno in battibaleno. La situazione è obiettivamente complessa.
L'APPELLO AL COMUNE.
La richiesta che gli inquilini fanno oggi alla nuova amministrazione è di avere al più presto un cronoprogramma per sapere almeno di che morte devono morire. Dopo quasi nove anni sarebbe quasi un atto di pietà. (2/fine)
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