Case equivalenti, salasso per il Comune 

A carico dell’ente (oltre alle spese condominiali) anche gli oneri per il riallaccio dei servizi e per il riaccatastamento

L’AQUILA. Le “abitazioni equivalenti” continuano a succhiare soldi alle casse pubbliche. Il Comune, oltre alle spese condominiali, ora comincia a spendere migliaia di euro pure per case diventate di sua proprietà all’interno di aggregati e per le quali (a ricostruzione avvenuta) vanno pagati oneri per l’allaccio dei servizi e per il riaccatastamento.
LA LEGGE. La storia è nota: la legge del 24 giugno 2009 relativa a “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo” aveva previsto la possibilità di concedere contributi per l’acquisto di un’abitazione sostitutiva dell’abitazione principale crollata per almeno il 25% (criterio quest’ultimo annacquato con successivi provvedimenti). Si decise che la nuova casa poteva essere “cercata” in ogni parte d’Italia (qualcuno è andato fino a Sassari) e che la vecchia sarebbe stata “mollata” al Comune. Il che, in soldoni, significa che la “ricostruzione” di un’abitazione di cui il proprietario si disfa costa allo Stato il doppio (fondi al cittadino per l’acquisto della casa equivalente e fondi al Comune per la ricostruzione della casa diventata di proprietà pubblica). Le case equivalenti (ancora oggi dopo 10 anni è possibile far ricorso alla legge del 2009, anche se da qualche tempo il riacquisto è stato limitato al territorio del Comune) sono fra le 700 e le 800. Il Comune, finora, in maniera “automatica” sta facendo (o farà) ricostruire tutte le case che gli sono “pervenute”.
COSA FARNE. Alcune idee per “sfruttare” le case equivalenti nella direzione di innovare il tessuto urbanistico sono cadute nel vuoto. Ad esempio, il consigliere di maggioranza Ferdinando Colantoni, nell’ambito della discussione in assise civica su una delibera che conteneva nuove indicazioni per ristrutturare i borghi, ha proposto che almeno nei paesi le case diventate di proprietà comunale non vengano tutte ricostruite e ha suggerito che al loro posto siano progettati – dopo attenta valutazione e d’intesa con le popolazioni locali – spazi a servizio della comunità. In una frazione è accaduto che un proprietario ha ceduto al Comune una grande casa diruta nel centro storico (che era già ridotta maluccio prima del sisma) e con i soldi ottenuti ha costruito, appena fuori l’antico borgo, una villa circondata dal verde. Tutto lecito chiaramente. Ora il Comune dovrebbe ricostruire quella “vecchia” casa, diventata di sua proprietà, per una cifra intorno ai 400.000 euro. Tutta l’operazione (nuova villa all’esterno e nuova casa comunale nel centro storico) costerà allo Stato (e quindi agli italiani) oltre 800.000 euro. Peraltro il Comune se per la città si è fatta venire qualche idea su come utilizzare questo enorme patrimonio immobiliare (una è far gestire gli alloggi da una Fondazione con l’Università in modo da dare un tetto sicuro agli studenti fuori sede), nelle frazioni è il Far West.
IL CASO. E veniamo al caso specifico. Un’ordinanza sindacale che risale al 2013 stabilisce che “relativamente all’allaccio o al riallaccio delle utenze la domanda dev’essere presentata, dal beneficiario del contributo, almeno 120 giorni prima della data prevista di ultimazione dei lavori” e che “ove le istanze non siano prodotte nei termini sopra ordinati, le eventuali richieste di proroga delle forme assistenziali (Case o Map) dovute alla mancanza dei servizi essenziali (energia elettrica, gas, acqua) non potranno essere accolte”. Insomma, o presenti in tempo la domanda di riallaccio delle utenze oppure non potrai lamentarti dei ritardi. In una frazione c’è un grosso aggregato (la cui ricostruzione è costata circa 5 milioni) nel quale il Comune ha acquisito ben due ex prime case. Il presidente dell’aggregato ha chiesto all’ente pubblico di pagare la sua quota per “le spese di accatastamento, allaccio idrico e allaccio fogne”. Si tratta di 1.166 euro ad abitazione (allaccio acqua 435 euro, allaccio fogne 680 euro, preventivo allaccio fogne 51 euro) più 369 per le spese di accatastamento. In totale oltre 2700 euro che vanno a pesare sul bilancio comunale. La cosa curiosa è che il Comune e i privati cominciano a pagare i riallacci, ma nelle frazioni non c’è ancora uno straccio di progetto per realizzare i sottoservizi. Basta farsi un giretto in un qualunque borgo per vedere che la priorità assoluta è, chiaramente, ricostruire (chi può, quando può e dopo una guerriglia fra proprietari, fra proprietari e tecnici, fra tecnici, uffici speciali, commissione pareri, imprese) e poi si pensa a dove allacciare lo scarico del bagno. Ne viene fuori un fai da te senza criterio. Vengono riutilizzati vecchi tratti fognari scavando “a capocchia”. Inoltre, se e quando i sottoservizi verranno appaltati (ma a questo punto è lecito dubitarne), si dovrà ri-scavare e quindi in tempi brevi è impossibile pensare a pavimentare strade e piazze con materiali che rendano merito alla bellezza dei borghi. L’asfalto sarà per decenni la soluzione “tampone”. La situazione nelle frazioni è dunque più precaria che mai: pochi cantieri, ancora anni di attesa per vederle rinascere, nessuno che pensa a progettare servizi, spazi pubblici, illuminazione e piani colore che abbiano un senso, scarsa attenzione agli elementi lapidei preesistenti, portali con rifiniture in cartongesso, impianti per il riscaldamento appesi su mura esterne appena rifatte e posizionati fra un balcone e una finestra, riallacci eseguiti col criterio del “dove scavo scavo”. Insomma un’armata Brancaleone. Così è difficile vincere la “guerra” della ricostruzione.
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