La Corte dei Conti: soldi pubblici ottenuti con la truffa e spariti in spese personali. I fondi erano per gli invalidi

Condannati a risarcire lo Stato

Ex presidente e revisore dell’Anici devono pagare 1,7 milioni di euro

AVEZZANO. Un fiume di denaro uscito dalla presidenza del consiglio dei ministri e finito, in parte, nelle tasche di chi avrebbe dovuto utilizzarlo per aiutare gli invalidi civili. Ora lo Stato rivuole indietro quei soldi. Come? La Corte dei Conti ha condannato Costantino Rossi, 69 anni e Luigi De Angelis, 55 anni, entrambi di Gioia dei Marsi, a pagare 1,7 milioni.

I ruoli. Diversi ma collegati i ruoli dei due protagonisti della storia che nel maggio 2006 furono anche arrestati.

Rossi all’epoca dei fatti era presidente dell’Anici, l’associazione nazione invalidi civili e cittadini anziani, con sede a Roma, mentre De Angelis, al tempo esponente dei Ds, diploma di perito elettrotecnico, ricopriva l’incarico di presidente del collegio dei revisori dei conti e, di fatto, era il braccio destro di quello che gli investigatori consideravano il dominus della gestione truffaldina.

L’accusa. Sono due i periodi per i quali i giudici contabili contestano un danno erariale forti di una sentenza di primo grado e della documentazione fornita dalla Guardia di Finanza. Il primo copre un arco temporale che va dal 1991 al 1996, il secondo dal 1999 al 2003.
La principale accusa mossa ai due è l’indebita percezione di contributi statali applicata seguendo sempre lo stesso meccanismo.

Rossi e De Angelis avrebbero redatto falsi bilanci, alterato documenti amministrativi e fiscali.
Tutto per far figurare spese inesistenti e un numero di associati superiore a quello reale. Le richieste di contributi così impacchettate venivano poi presentate alla presidenza del consiglio dei ministri. Che puntualmente firmava e pagava.

Dare e avere. Nel corso delle indagini e del processo in primo grado a Roma è emerso un retroscena assai paradossale. Chiamati a deporre in aula i presidenti dei comitati provinciali dell’Anici hanno riferito che, invece, di ricevere dalla sede centrale i fondi stanziati dal governo erano loro stessi a inviare soldi a Roma con importi variabili dai 300 ai 500 euro mensili.

Soldi spariti. I finanzieri e anche il perito del tribunale non sono riusciti a stabilire quale destinazione abbiano avuto le somme incassate da Rossi e De Angelis.
L’allora presidente aveva in uso una carta di credito intestata all’Anici «utilizzata per spese varie di dubbia riconducibilità alle finalità istituzionali dell’associazione» scrivono i giudici contabili.

C’è poi l’aspetto immobiliare. Rossi aveva acquistato a suo nome un fondo a Torino che poi era stato affittato al comitato regionale dell’associazione. Altra operazione messa sotto la lente quella dell’appartamento in via del Tritone a Roma, sede dell’Anici. La pratica di attingere dal conto dell’associazione firmando assegni «a me medesimo», con l’avallo di De Angelis, ha contribuito a gettare più di un’ombra sull’operato di Rossi.
A peggiorare la situazione dando l’idea di voler inquinare le prove ci fu anche la dichiarazione del furto della contabilità per impedire una ricostruzione dei flussi di denaro. Ma i finanzieri recuperarono buona parte dei documenti in un casolare di campagna del De Angelis. E per i due scattò l’arresto in carcere.

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