Dalle macerie alla lotta ai talebani

Gli alpini della «Scassata» in Afghanistan dopo l’impegno post sisma

L’AQUILA. Già dal nome che porta - «La scassata - si capisce che la 143ª compagnia del 9º reggimento alpini dell’Aquila ha avuto una vita non facile. Nella seconda guerra mondiale ha sempre combattuto in prima linea in Russia, in Albania e poi in Grecia, uscendone decimata. Da qui quell’appellativo, che la compagnia porta orgogliosa e che richiama le vicissitudini passate.

L’ultimo sacrificio è una tragedia dello scorso anno, ma sempre viva sulla pelle e nel cuore della gente: il terremoto in Abruzzo, che ha colpito nei beni e negli affetti tanti militari di questo reparto, il primo a intervenire la notte del 6 aprile 2009. E visto che «La scassata» ci tiene al suo nome, adesso è schierata nello scassatissimo distretto di Bala Baluk, nell’Afghanistan talebano.

Non si fanno mancare niente, gli alpini dell’Aquila, anche se il primo attacco a colpi di razzi contro la Taurinense, l’altro giorno, ha risparmiato loro e riguardato le penne nere del 2º di Cuneo, prese di mira nella parte opposta della regione, a Bala Baluk.
Non è semplice arrivare alla base avanzata Tobruk dal quartier generale italiano di Herat: prima bisogna spingersi a sud - 300 chilometri sulla 517, un’ora di elicottero - e arrivare a Farah.
Poi un’altra ora e mezzo di Lince tra i campi di grano e di papavero da oppio, ed ecco Bala Baluk.

A Farah c’è la Fob (Forward operational base) El Alamein e il comando della task force schierata nella parte più meridionale - e pericolosa - del settore occidentale, da martedì presidiato dalla brigata Taurinense al completo.

La task force south è composta dal 9º reggimento dell’Aquila, che è arrivato in Afghanistan «quasi in stato soporifero», ammette il capitano Alessio Maggi, di Avezzano.
«Sono stati mesi pazzeschi» prosegue l’ufficiale «il terremoto, i soccorsi nella fase acuta dell’emergenza, poi il G8, l’operazione Strade sicure e quella Gran Sasso, entrambe all’Aquila. Infine l’addestramento vero e proprio per una missione sicuramente complessa».

Un tour de force di grande impatto non solo emotivo che ha richiesto uno sforzo fisico capace di mettere a dura prova soldati abituati fronteggiare le emergenze.
Per il colonnello Franco Federici, comandante del 9º e figlio d’arte (il padre, Luigi, é stato comandante delle truppe alpine e comandante generale dell’Arma), approntare il contingente di circa 400 uomini da spedire tra Farah e Bala Baluk é stato meno facile di quanto avvenuto nelle tante altre missioni cui il reggimento ha partecipato.

Il problema, stavolta, non era soltanto l’intensissimo lavoro svolto dagli alpini nel dopo sisma, «ma il fatto» come spiega Maggi «che i danni materiali e psicologici del terremoto non avevano certo risparmiato i nostri militari e le loro famiglie».
Nessuno si è tirato indietro, come sempre, ma lo stato d’animo di molti non poteva essere trascurato. Alla fine il contingente è partito e la provincia di Farah, una delle più pericolose di tutto l’Afghanistan, dal 17 aprile é affidata anche al loro controllo.

In sintonia con il motto del reggimento - «D’aquila penne, ugne di leonessa» - gli alpini abruzzesi non si sono mai persi d’animo e ora sono già alle prese con la prima, vera, incombenza: la raccolta del papavero da oppio.
Comincia questo fine settimana e si concluderà in quindici giorni, quando si prevedono tutta una serie di traffici.
«Potrebbe esserci parecchio movimento», dice il capitano Mario D’Angelo, comandante della compagnia «La scassata». «Ma loro» assicura «sono pronti a ogni evenienza».