Grandi rischi, la condanna in primo grado: per il giudice i 7 scienziati potevano salvare delle vite

Terremoto dell’Aquila, il giudice Marco Billi deposita mille pagine di motivazioni della sentenza contro i componenti della commissione

L’AQUILA. Affermazioni «assolutamente approssimative, generiche e inefficaci in relazione ai doveri di previsione e prevenzione», a cui si aggiunge «l'adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del Dipartimento della Protezione Civile di fare una 'operazione mediatica'», con il risultato di aver «indotto gli aquilani a restare in casa mentre, con una condotta più prudente, si sarebbero potute salvare alcune vite».

Sono tre dei passaggi chiavi scritti dal giudice del tribunale dell’Aquila Marco Billi nelle motivazioni della sentenza che nell’ottobre scorso ha condannato i sette componenti della Commissione Grandi Rischi per il mancato allarme in occasione prima del terremoto che il 6 aprile 2009 ha distrutto L'Aquila. Franco Barberi, (presidente vicario della Commissione Grandi Rischi dell'epoca) Bernardo De Bernardinis (già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione Civile) Enzo Boschi (all'epoca presidente dell'Ingv) Giulio Selvaggi (direttore del Centro nazionale terremoti), Gian Michele Calvi, (direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case), Claudio Eva (ordinario di fisica all'Università di Genova e Mauro Dolce direttore dell'ufficio rischio sismico di Protezione civile) sono stati condannati per omicidio colposo plurimo in relazione al mancato allarme sisma e all’errata valutazione del rischio sismico.

Una sentenza e un processo che, sottolinea il giudice Billi, che «non è volto alla verifica della fondatezza, della correttezza e della validità sul piano scientifico delle conoscenze in tema di terremoti. Non è sottoposta a giudizio ’la scienzà per non essere riuscita a prevedere il terremoto del 6 aprile 2009».

 

"Condotta più prudente avrebbe salvate delle vite". Le motivazioni, presentate questa mattina, confermano il ruolo decisivo delle testimonianze delle persone che hanno riferito di essere state rassicurate dalle parole degli esperti e quindi indotte a rimanere in casa la notte della scossa del 6 aprile 2009: «La contestazione agli imputati appare pienamente fondata: le affermazioni riferite alla valutazione dei rischi connessi all’attività sismica sul territorio aquilano sono risultate assolutamente approssimative, generiche e inefficaci. Mancata analisi del rischio e risultanze rassicuratorie sono emerse dalla riunione della Commissione Grandi Rischi, che hanno indotto gli aquilani a restare in casa mentre, con una condotta più prudente, si sarebbero potute salvare alcune vite».

"Fu un'operazione mediatica". Il passaggio chiave nelle circa mille pagine di motivazioni è però il rapporto tra i componenti della Commissione e la Protezione Civile. «Gravi profili di colpa si ravvisano nell'adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del Dipartimento della Protezione Civile di fare una 'operazione mediatica'», si legge nel dispositivo, «che si è concretizzata nell'eliminazione dei filtri normativamente imposti tra la Commissione Grandi Rischi e la popolazione aquilana. Tale comunicazione diretta, favorita dall'autorevolezza della fonte, ha amplificato l'efficacia rassicurante del messaggio trasmesso, producendo effetti devastanti sulle abitudini cautelari tradizionalmente seguite dalle vittime e incidendo profondamente sui processi motivazionali delle stesse».

"Tragico effetto rassicurante". «Dalla condotta colposa degli imputati è derivato un inequivoco effetto rassicurante», scrive Billi in relazione alle affermazioni emerse nel corso della riunione della commissione. La «migliore indicazione» sulle rassicurazioni della commissione Grandi rischi, aggiunge, «si ricava dalla lettura della frase finale della bozza del verbale della riunione, laddove l’assessore alla Protezione civile regionale Daniela Stati, in modo emblematico, dice: ’Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampà». Billi sottolinea che «la rassicurazione non costituisce un segmento della condotta che il pm contesta agli imputati ma costituisce in realtà l’effetto prodotto dalla condotta contestata».

"Non è una sentenza contro la scienza". «Il compito degli imputati, quali membri della commissione medesima, non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora e la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla ’previsione e prevenzione del rischiò», scrive il giudice su un tema, quello del ’processo alla scienzà è stato il più discusso durante tutta la vicenda e ha generato polemiche tra le istituzioni e sui media in Italia e nel mondo. «È, dunque, pacifico», prosegue Billi, «che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perchè le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno è in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa». «Proprio sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione», continua il giudice Billi. «L’affermazione secondo cui il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile», spiega nelle motivazioni, «costituisce, infatti, solo la premessa dei compiti normativamente imposti agli imputati poichè, per quanto previsto dalla legge e per quanto richiesto dalla loro qualità e dalle funzioni della commissione da essi composta, il giudizio di prevedibilità/evitabilità, su cui si basa la responsabilità per colpa contestata nel capo di imputazione, non andava calibrato sul terremoto quale evento naturale, bensì sul rischio quale giudizio di valore».

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