Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al G7 in Canada

L'INTERVISTA

"Il mio amico presidente del Consiglio"

Fabrizio Marinelli all'Aquila è un po’ un’istituzione. Del nuovo premier dice: "Con Conte, tante iniziative  insieme. E' uomo rigoroso, molto preparato" 

L’avvocato professor Fabrizio Marinelli in città è un po’ un’istituzione. È docente di diritto privato all’Università, dove insegna anche storia del diritto moderno. Su argomenti giuridici ha scritto decine di libri. È tra i maggiori esperti italiani degli assetti fondiari collettivi meglio conosciuti come usi civici. I suoi testi sono punto di riferimento per studiosi e per tutti coloro che si occupano della materia. Conta amicizie consolidate con personaggi che hanno fatto e fanno la storia del diritto fra cui l’ex presidente della Corte costituzionale Paolo Grossi che Marinelli ha invitato più volte all’Aquila per convegni e iniziative. Nella giunta del sindaco Antonio Centi (1994-1998) è stato assessore all’Urbanistica ruolo che lasciò per andare alla Fira, la finanziaria regionale.

Fabrizio Marinelli, avvocato e professore

Nella lista dei suoi migliori amici – e che fino a un mese fa era sconosciuto alla gran parte degli italiani – c’è il professor Giuseppe Conte, fresco presidente del Consiglio scelto da Lega e 5 stelle per guidare “il governo del cambiamento”.
Professor Marinelli da quanto tempo conosce il premier?
«Innanzitutto siamo entrambi docenti di diritto privato, in Italia in totale ne saremo un centinaio e quindi ci si conosce un po’ tutti. Con Giuseppe Conte però c’è qualcosa di più. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta del secolo scorso siamo stati entrambi assistenti nella facoltà di giurisprudenza alla Sapienza di Roma, e quindi abbiamo lavorato fianco a fianco per anni e abbiamo avuto importanti maestri in comune. Poi io ho avuto la cattedra da ordinario all’Aquila e lui a Firenze. Ma anche quando ci siamo “separati” la collaborazione fra noi è continuata».
In che senso è continuata?
«Innanzitutto ci siamo ritrovati spesso in convegni, seminari e altre iniziative. L’ultima volta in cui ci siamo incontrati è stata nel febbraio scorso a Roma, in un convegno al Senato. Ma a volte ci siamo incrociati anche fuori dal contesto professionale. Lui ha continuato a vivere a Roma, io Roma la frequento in continuazione e ogni tanto siamo stati a cena insieme. Telefonicamente siamo stati sempre in contatto. Ho anche collaborato con la rivista “Giustizia civile” di cui lui è direttore».
Quando ha saputo dell’incarico è rimasto sorpreso?
«Sì, nel senso che pensavo potesse diventare ministro come da indicazione del M5S. Poi le cose sono cambiate e devo dire che saperlo presidente del Consiglio mi ha fatto molto piacere, è comunque una faccia nuova della politica. Gli ho inviato un messaggio al quale mi ha prontamente risposto, la risposta la conservo ancora sul cellulare: “Grazie tante, un abbraccio”».
Per molti italiani Conte è ancora personaggio da decifrare. Lei che lo conosce bene come potrebbe definirlo politicamente?
«Lui, da come ho potuto intuire, è stato un po’ come me, genericamente di sinistra, area a cui guardava soprattutto negli ultimi anni con molto, molto disincanto. Il disincanto, e parlo anche per me, te lo fanno venire quelli che hanno governato in questi anni la sinistra».
Come studioso e come persona invece?
«Inutile dire che è molto bravo e preparato. Una sua caratteristica è la determinazione, quando si è posto obiettivi li ha perseguiti e raggiunti. Non dimentichiamo che è stato nello studio di Guido Alpa, presidente del consiglio nazionale forense per molti anni, recentemente è stato vicepresidente del consiglio superiore della giustizia amministrativa, posizioni che gli hanno consentito di conoscere persone e soprattutto il funzionamento della macchina burocratica. Lui non è un alieno arrivato per caso nei palazzi che contano. Come persona l’ho sempre trovato molto aperto, disponibile, simpatico. Un uomo con cui si può parlare e discutere piacevolmente. Mi ci sono sempre trovato bene».
Molti pensano che sarà un presidente dimezzato nel senso che deve “obbedire” agli ordini dei due azionisti del governo, Salvini e Di Maio.
«Non credo. Lui è molto preparato, di grande onestà, gode profonda stima in molti ambienti. Presto ci accorgeremo che sarà un presidente autonomo pur dentro il contratto politico di cui lui è in certo modo garante ma non soltanto mero esecutore».
Pensa sia possibile far venire il neo presidente in tempi brevi all’Aquila?
«Lui all’Aquila da quando ci siamo conosciuti non è mai venuto. Nei giorni del terremoto mi ha chiamato e mandato messaggi per sapere come stavo e a volte è capitato anche di parlare della situazione della città. Naturalmente ora non posso invitarlo a nome mio. L’invito deve partire dalle istituzioni e credo che presto questo avverrà. Se posso dare una mano lo farò volentieri. È importante che venga e si renda conto dei problemi della città, soprattutto quelli legati alla ricostruzione. Ma già nel discorso programmatico in parlamento ha detto che una delle sue prime uscite pubbliche sarà nelle zone terremotate».
Avvocato adesso parliamo di lei. È aquilano doc, è nato nel cuore del centro storico.
«Sì, sono nato nel 1952, la mia famiglia viveva in via San Flaviano. Ho frequentato il Classico e sono cresciuto in quel particolare clima culturale cittadino degli anni ’60. Quella era una città che credeva e scommetteva su se stessa. Io ho, per esempio, giovane avvocato, lavorato con Nino Carloni l’uomo che ha portato all’Aquila i migliori musicisti del mondo. Però vorrei ricordare un personaggio che in città è un po’ dimenticato, Federico Brini, per anni parlamentare Pci. Per me è stato un grande esempio. Uomo di grande rigore. E poi, è una cosa a cui tengo molto, sono stato uno scout, un’esperienza formativa importante».
Quale immagine le è più cara della città della sua infanzia e giovinezza?
«In questo magari non sarò molto originale. La passeggiata sotto i portici era quasi un “dogma” per gli aquilani. Oggi c’è Facebook. Noi per intrecciare amicizie, scambiarci informazioni, incontrarci avevamo i Portici. Oggi uso, come tutti, i social, ma preferivo quel contatto più umano e vero».
Quella città non c'è più?
«Oggi, 2018, no. Spero che quella passeggiata torni presto a essere un rito cittadino anche se il mondo è cambiato e non solo a causa del terremoto. Io penso che nel post-sisma siano stati commessi alcuni errori di fondo. Il primo è aver deciso la completa evacuazione della città. Chi poteva e voleva doveva rimanere. In questo sono d’accordo con il professor Raffaele Colapietra. Poi la ricostruzione doveva iniziare dal centro, non dalla periferia o, almeno, doveva essere contestuale. Terzo: ritengo sbagliato il “com’era e dov’era”. Penso ad esempio al palazzo della Provincia in via Sant’Agostino, una bruttura che copre aree cittadine di grande fascino. Ma ci voleva un’idea per la città del futuro. E credo non ci sia stata. Non do la colpa a nessuno. È andata così. Penso che invece sia stata una bella intuizione quella di restaurare e valorizzare le antiche mura cittadine».
Su cosa punterebbe per dare all’Aquila un futuro ?
«Non ho ricette ma se dipendesse da me punterei su università, alta tecnologia, cultura intesa nel senso più ampio possibile. L’Aquila deve poi tornare a essere città territorio, le frazioni vanno valorizzate come parte della città non come elementi estranei».
Lei è considerato fra i massimi esperti, se non il massimo esperto italiano della legislazione sugli usi civici. Una nuova legge ne rafforza il ruolo. Ma in due parole cosa sono gli usi civici e a quando risalgono?
«Io sulla materia ho scritto molti libri e semplificare è sempre pericoloso. Sin dal Medioevo i terreni produttivi erano proprietà dei baroni che li facevano coltivare dai villici traendone reddito. C’erano poi territori non coltivabili che venivano concessi alle comunità – come una sorta di contrappeso – che li sfruttavano come pascolo o per il legnatico. Questa funzione è andata avanti per secoli. Anche la legislazione è cambiata. Prima della recente legge 168/2017 avevamo come punti fermi il lavoro della Commissione feudale napoleonica del 1808 di cui fu presidente l’aquilano Giacinto Dragonetti e la legge 1766 del 1927 in parte non applicata».
Nel 2018 che ruolo hanno gli usi civici e le amministrazioni separate che li amministrano?
«Il ruolo nel tempo è cambiato, io credo che adesso gli usi civici siano un vero e proprio baluardo nella difesa e tutela dell’ambiente. Se noi oggi godiamo di zone di grande pregio naturale lo dobbiamo anche alla funzione storica degli usi civici. E quello che abbiamo ricevuto in eredità noi lo dobbiamo restituire, magari migliorato, alle nuove generazioni . Qui devo dire che fra enti parco e usi civici c’è una differenza di vedute. I Parchi sono per la tutela assoluta – non si tocca nulla – l’uso civico prevede invece una presenza attiva dell’uomo – per il pascolo, taglio del bosco, sistemazione di sentieri – penso che con una discussione franca e aperta si possa trovare la giusta misura».
Cosa fa l’avvocato Marinelli nel tempo libero?
«Fino a qualche anno fa sciavo e giocavo a tennis. Poi il lavoro e i vari impegni mi hanno preso sempre di più. Oggi nel tempo libero scrivo».
E a tavola il piatto preferito?
«Sono morigerato, ma a un risotto alla milanese non riesco a resistere».
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