Il pm: a processo il vescovo D'Ercole

Fondazione, la procura chiede il giudizio per l'ausiliare dell'Aquila

L'AQUILA. Da indagato a imputato. Cambia la posizione del vescovo ausiliare dell'Aquila monsignor Giovanni D'Ercole la cui vicenda processuale arriva davanti al giudice terzo. Il prelato, primo collaboratore dell'arcivescovo metropolita Giuseppe Molinari e volto noto della tv per essere il conduttore della trasmissione Rai «Sulla Via di Damasco», rischia di finire in un'aula di tribunale. E nel banco degli imputati. A decidere la sua sorte processuale sarà il giudice chiamato a fissare l'udienza preliminare per discutere delle cinque richieste di rinvio a giudizio.

Il sostituto procuratore della Repubblica Antonietta Picardi ha infatti definito le accuse nei confronti del prelato e di altri quattro coimputati, a vario titolo, nell'ambito dell'inchiesta sulla tentata truffa ai danni dello Stato perpetrata attraverso la Fondazione Abruzzo solidarietà e sviluppo. Un sodalizio nato per intercettare parte dei 12 milioni di euro messi a disposizione dal Dipartimento politiche per la famiglia della presidenza del Consiglio dei ministri (all'epoca del governo Berlusconi rappresentato dal sottosegretario Carlo Giovanardi). Fondi stanziati dopo il terremoto e destinati a strutture sociali ma che, per l'accusa, stavano per finire nelle tasche di alcuni dei capofila di un gruppo criminale che li avrebbe destinati a tutt'altro scopo.

Truffa tentata e non consumata con lo spartiacque degli arresti scattati il 22 settembre 2011 da parte dei carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) guidati dal capitano Fiorindo Basilico. Ai domiciliari finiscono il professore romano Fabrizio Traversi, 63 anni, ritenuto l'architrave del gruppo e il medico aquilano Gianfranco Cavaliere, 35 anni, uomo di Giovanardi all'Aquila.

L'ACCUSA. Il vescovo D'Ercole, secondo il pm, deve rispondere del reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale. Un reato punito, per chi viene riconosciuto colpevole, con la reclusione fino a un anno. Indagato l'8 novembre 2011 anche per un altro reato, quello di false informazioni al pubblico ministero, il presule convince la Procura, nel corso di un interrogatorio durato quasi cinque ore, di non aver detto bugie ai magistrati. Resta intatto, tuttavia, il capo d'imputazione a carico del vescovo così come contenuto nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari che porta la data del 13 gennaio 2012.

VIA TEULADA. Dopo mesi e mesi di indagini, appostamenti, pedinamenti e intercettazioni telefoniche in cui emerge un quadro frenetico di attività del sodalizio per accaparrarsi i fondi, il vescovo ausiliare ha rischiato di cadere invischiato anche nell'imputazione principale. Colpa delle amicizie pericolose, come ammetterà amaramente più avanti. Tuttavia, a incastrarlo oggi sono una telefonata e un incontro. La data è quella del 21 settembre 2011. Di lì a 24 ore i carabinieri busseranno alla porta di Traversi e Cavaliere per arrestarli. Il vescovo ausiliare, sentito a sommarie informazioni testimoniali in Procura come persona informata dei fatti, all'uscita dall'incontro con gli investigatori e il pubblico ministero telefona a Fabrizio Traversi. Un'ora dopo il colloquio col pm. Ovviamente ignorando che il telefonino del sedicente massone e consulente della presidenza del Consiglio è intercettato ormai da mesi.

«Ti devo parlare». Poi via, in macchina, fino a via Teulada a Roma dove, negli studi della Rai, avviene l'incontro con il vescovo che sta registrando il suo programma televisivo di successo. Dell'incontro viene informato anche Cavaliere che però non si presenta. Dopo quel colloquio, dal telefonino di Traversi partono svariate telefonate. Una condotta, questa, che secondo l'accusa ha rischiato di ostacolare seriamente il corso dell'indagine. È questo il motivo per il quale la Procura ha ritenuto del tutto ininfluente la memoria difensiva prodotta dal vescovo.

«VOLEVO REDIMERLO». Scrive al pm di aver incontrato Traversi per riportarlo sulla «retta via». Una sorta di direzione spirituale di un personaggio dal linguaggio colorito che in Curia aveva ottenuto paterne benedizioni e anche un ufficio da dove dirigeva gli affari della Fondazione di cui a lungo i due vescovi Molinari e D'Ercole hanno ricoperto ruoli apicali. Questa, in estrema sintesi, la linea difensiva del presule. Una teoria che, tuttavia, non sposta neppure di una virgola il convincimento della Procura.

IN AEREO. Mentre il pm deposita la richiesta di processo il vescovo è in volo verso l'Italia, di ritorno da un viaggio nel Sud-Est asiatico. Il suo telefonino non è raggiungibile. Diversamente dal giorno di quella telefonata che ora potrebbe costargli davvero cara.

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