In città spuntano i “banditori” per annunciare una forte scossa 

Il 13 marzo 2009 alcune persone si aggiravano nel centro storico con i megafoni invitando la popolazione a uscire di casa. Nessuno ha dato peso alla cosa, i sentimenti erano contrastanti

L’AQUILA. Lunedì 23 marzo 2009 il terremoto torna a far parlare di sé. Ma bisogna fare un passo indietro.
Dieci giorni prima, il 13 marzo, l'agenzia Ansa aveva “lanciato” una notizia tra il curioso e l'inquietante: «Lo sciame sismico», scriveva l'Agenzia, «che da un paio di mesi interessa l'area dell'Aquilano – tre le scosse oggi in un paio d'ore – ha spinto la notte scorsa alcuni “banditori” ad andare in giro per la città con il megafono invitando la popolazione a uscire di casa, in vista di un imminente terremoto distruttivo. Ora le forze dell'ordine indagano per denunciare i responsabili per procurato allarme. L'episodio potrebbe essere legato a una distorta interpretazione di una ricerca scientifica condotta dal 2003 dal tecnico di ricerca aquilano Giampaolo Gioacchino Giuliani: la possibilità di prevedere, dalle 6 alle 24 ore prima, un evento sismico calcolandone epicentro, intensità e ipocentro, grazie a una rete di rivelatori di concentrazione di gas radon. Il sistema, che invia gli allarmi alla sala operativa della Protezione Civile e un anno fa è stato testato in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria delle strutture, acque e terreno (Disat) dell'Università dell'Aquila, ieri aveva generato solo tre allarmi relativi a prevedibili scosse di magnitudo inferiore a 3. Oggi Giuliani è stato costretto a oscurare i dati consultabili da tutti sul suo sito».
Questa notizia era comparsa, il giorno dopo, 14 marzo, anche sul Centro. Ma non c'erano evidenti richiami nei titoli. Ricordo che la scelta di non dare troppo spazio ai “banditori”, come venivano definiti dall'Agenzia di stampa, derivava dal timore che la “pubblicizzazione” di quella vicenda avrebbe potuto provocare delle emulazioni, che a quel punto potevano spargere il panico in città. La storia dei “banditori” era la spia di quello che stava accadendo all'Aquila, se pur sottotraccia, in quell'avvio della primavera 2009. I sentimenti delle persone rispetto allo sciame sismico e alla possibilità che prima o poi potesse arrivare una forte scossa, erano diversi e contrastanti: c'era chi faceva finta di nulla, chi giudicava eccessivo l'allarmismo, chi era allineato alle “previsioni” di Giampaolo Giuliani, chi quelle “previsioni” le sbeffeggiava, chi credeva alle rassicurazioni dei sismologi, e quindi alla scienza ufficiale. Quello di cui nessuno si rese conto (a partire dalle autorità locali, fino alla Protezione civile nazionale) è che quel disorientamento, sempre più palpabile, andava in qualche modo “governato” con informazioni e provvedimenti che senza evacuare la città dessero, a ogni cittadino consapevole, un minimo di strumenti per prendere coscienza che bisognava prepararsi a una possibile emergenza. Brusìo di fondo dei benpensanti: bella trovata, con il senno di poi siete tutti bravi a pontificare e sparare sentenze. In effetti in quei giorni i “sentimenti” contrastanti venivano esorcizzati con una scrollata di spalle e quel “ritornello” sulle scosse che non davano tregua cominciava a creare, nella gente, un certo fastidio.
È un po’ come quando andiamo dal medico e chiediamo rassicurazioni sul nostro stato di salute: se non ce le dà magari cambiamo medico piuttosto che accettare un'amara verità. E questo era un po’ il sottotraccia cittadino di quei giorni.
I sismologici e poi la commissione Grandi Rischi dissero agli aquilani quello che gli aquilani volevano che fosse detto loro. Ma evidentemente non si comportarono da medici coscienziosi. Ho un ricordo personale, relativo a un fatto che si verificò certamente nella seconda metà del mese di marzo. E forse fu proprio lunedì 23 marzo. Sulla prima pagina del Centro, come già accennato, c'era un richiamo ben visibile nella parte bassa: “L'Aquila, un'altra sveglia con il terremoto, continua lo sciame sismico, la scossa di ieri è stata di magnitudo 2.3”. Quella mattina come a volte mi capitava, prima di andare nella redazione di via XX Settembre 15, mi ero fermato al bar in via Sant'Agostino per fare colazione. È noto che, allora come oggi, i bar hanno su un tavolo il quotidiano locale che gli avventori tra un cappuccino, un caffé e una pastarella sbirciano, almeno nei titoli principali. Naturalmente quando sentivo commenti sul giornale drizzavo le orecchie. Un amico del cliente di quel bar, che aveva dato uno sguardo al giornale, chiese: “Che c'è di bello oggi sul Centro?”. La risposta fu: “Ancora terremoto, mo’ hanno stufato”. Io a dire il vero non compresi bene se il lettore, occasionale, era stufo di leggere notizie sulle scosse o era stufo del terremoto. La cosa però mi fece pensare che forse gli allarmisti stavamo diventando noi e che la gente voleva trovare sul quotidiano sì tante notizie ma di ordinaria vita cittadina – magari con qualche risvolto pruriginoso – tanto che ne parlai anche con il caporedattore e il direttore. “Atteniamoci ai fatti”, fu l'indicazione, “le scosse di terremoto ci sono e non si possono ignorare, anzi cerchiamo di dare noi delle informazioni utili per affrontare una eventuale emergenza”. All'epoca il caporedattore del Centro era Roberto Marino che, anche per aver vissuto in prima persona il terremoto dell'Irpinia del 1980, aveva, rispetto al fenomeno sismico, una forte attenzione. Da lui giungeva sempre l'invito a non sottovalutare e non minimizzare ciò che accadeva. Marzo si andava spegnendo e per un paio di giorni le cronache non parlarono di terremoto ma delle solite, ataviche e irrisolte, questioni territoriali. Alla vigilia del sisma il Centro turistico Gran Sasso si ritrovò senza guida. Il cda guidato da Max Di Pasquale si era dimesso. Nel pezzo si dava notizia che “l'azienda ha un debito di 7 milioni ed è imminente la revisione della funivia che costerà 3,5 milioni (revisione che dopo il sisma sarà fatta a carico della Protezione civile, ndr). Significa che un privato che voglia avere le chiavi del Centro turistico dovrà prima sborsare 10 milioni di euro. Più l'investimento”. E infatti dopo 10 anni di privatizzazione non si parla più. All'appuntamento col terremoto si presentava una città azzopata e con tanti interrogativi sul futuro. Tra questi non c'era quello più importante: cosa si può fare per limitare i danni di una possibile forte scossa? Ma anche se quell'interrogativo ci fosse stato, la risposta sarebbe stata: niente. E infatti niente di utile si fece.
(17 - continua)
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