L'ex capo della Protezione civile nazionale Guido Bertolaso quando era a L'Aquila

L'Aquila, Bertolaso attacca Cialente: «Un’opera da tutelare, i danni sono colpa tua» 

L’ex capo della Protezione civile: Comune assente nella manutenzione. Quegli alloggi sono stati apprezzati dall’Europa e sono ancora utili

Lo abbiamo intervistato per conoscere più da vicino i limiti e gli eventuali pregi di un’opera mastodontica costata un occhio della testa che mostra parecchie crepe.
Dottor Bertolaso, il sindaco Cialente, e con lui alcuni candidati sindaci all’Aquila, ritengono che il Progetto Case vada smantellato. Cosa ne pensa?
«È la solita battuta elettorale di Cialente che sa parlare solo per slogan paradossali che sono fatti esclusivamente per cercare di racimolare qualche voto in più dopo una gestione comunale disastrosa in questi 10 anni».
Chi ha deciso e quali le modalità della realizzazione di un’opera di questo tipo?
«Avvennero due cose fondamentali che nessuno ha mai avuto il coraggio, la voglia, il desiderio di mettere in chiaro. La prima: che Guido Bertolaso si presentò in consiglio comunale spiegando che c’erano due alternative nel post-terremoto: innanzitutto, quella di fare i soliti container dei quali abbiamo visto i risultati in Umbria, nelle Marche, nel Belice e nelle altre parti del mondo; in alternativa, siccome per ricostruire all’Aquila ci sarebbero voluti decenni, proposi di realizzare delle case antisismiche in tempi rapidi. Ovviamente dei prefabbricati che sarebbero costati un po’ di più ma avrebbero dato maggiore tranquillità alle decine di migliaia di persone che sarebbero andate a viverci».

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Quale fu la reazione?
«Dopo essere stato insultato in consiglio comunale perché avevo detto che per ricostruire ci sarebbero voluti più di 10 anni, alla fine questa mozione comunque passò. Dopodiché il sindaco dell’Aquila mi indicò le 10 aree dove avremmo dovuto costruire questi prefabbricati. Non furono scelte dalla Protezione civile ma indicate dal Comune dell’Aquila. Infine, Guido Bertolaso si girò tutte le tendopoli di quel periodo e tutti gli alberghi sulla costa spiegando agli abitanti sfollati che avevano due opzioni: o si sceglievano un’autonoma sistemazione prendendo 700 euro al mese oppure chiedevano di andare dentro il progetto Case, una volta realizzato, e ognuno degli aquilani deliberatamente e liberamente scelse quella che era la soluzione che preferiva».
Si ricorda le percentuali di adesioni tra Contributo di autonoma sistemazione e Progetto Case?
«Metà e metà. Purtroppo non tutti furono ospitati nelle Case perché non riuscimmo a farne quante ne sarebbero servite. Ci fu addirittura una graduatoria, gli aquilani testimonieranno che nella palestra della caserma della Guardia di finanza c’erano delle squadre della Protezione civile che accoglievano tutti gli abitanti che avevano fatto domanda e insieme valutavano ogni singola posizione in graduatoria per poter entrare o meno in queste case».
Non pensa che siamo di fronte a un’opera mastodontica ed eccessivamente onerosa?
«Al di là di quelle che sono le cazzate che abbiamo letto in questi anni sulla mancanza di democrazia, sul dispotismo e su tutte le altre stronzate che si sono inventati i politici, quell’operazione fu di assoluta trasparenza e totale democrazia. Questi sono fatti non chiacchiere. Voglio vedere chi ha il coraggio di smentirmi o di dire che sto dicendo delle balle».
Perché ce l’ha tanto con Cialente?
«Glielo spiego subito. Nell’ambito del Progetto case, la Protezione civile costruiva le case, mentre il Comune dell’Aquila si riservò il 30% delle aree che erano state individuate per realizzarvi, come Comune dell’Aquila, i servizi. E cioè il mercato, il negozio, il barbiere, il giornalaio, il centro sociale ecc... Cosa che, come sappiamo bene, il Comune dell’Aquila non ha mai fatto. Anzi, ci hanno sempre accusato di aver creato delle cattedrali nel deserto dicendo che non c’erano i servizi. In realtà, nel protocollo d’intesa c’è scritto in modo chiaro che la Protezione civile costruiva le case e che il 30% delle aree disponibili sarebbero state usate dal Comune per farci i servizi».
Una delle parole chiave di questa vicenda è “manutenzione”. Il nodo del contendere è proprio quello del passaggio di consegne dalla Protezione civile agli enti local. In cosa secondo lei ha sbagliato il Comune?
«Quando Bertolaso ha consegnato le chiavi degli alloggi, con la signora Pezzopane (Stefania, ndr) e il signor Cialente che lodavano e si sbrodolavano insieme a Berlusconi, il 31 gennaio 2010 abbiamo anche lasciato in eredità un bel contratto di manutenzione per tutti gli alloggi del Progetto Case che avevamo stipulato con la Consip, la società dello Stato che si occupa di queste cose. Ebbene, il Comune dell’Aquila non ha mai voluto riconoscere questo contratto con la Consip e ha deciso che la manutenzione l’avrebbe fatta da solo. Noi le ragioni non le conosciamo, le possiamo solo sospettare. Guarda caso, non è mai stata fatta alcuna manutenzione e quindi un giorno è caduto un balcone, un altro giorno un pilastro si è incrinato. Le faccio un esempio: se lei in casa sua, per sette anni, anzi otto, continua a vedere acqua che esce dal muro e non fa nulla per rimediare e poi il muro crolla, è colpa di chi l’ha costruito o di chi si è accorto che c’era l’infiltrazione d’acqua e non è mai intervenuto?».
Converrà, però, che sono state registrate anche importanti anomalie nella realizzazione delle Case. Non pensa che ci sia stata qualche ditta che non ha ottemperato a quelle che erano le prescrizioni del capitolato d’appalto?
«Ma questo ci sta, può essere accaduto, ci mancherebbe altro. Quando si fanno le cose di corsa solo perché si vogliono accontentare le persone può capitare di commettere qualche errore, ma questo non spetta a me dirlo. Noi abbiamo avuto delle commissioni di collaudo fatte da gente perbene. Sulla storia del balcone crollato sappiamo che i collaudatori hanno ricevuto un avviso di garanzia, compresi quelli del Comune che hanno fatto la manutenzione. Quindi sarà la giustizia a stabilire se sono stati commessi degli errori o meno. Certo, non può essere Cialente a commentarlo o a deciderlo se non per assumere degli atteggiamenti strumentali».
E l’Unione europea che potrebbe chiedere indietro i 350 milioni di euro stanziati?
«Sulla battuta che ha fatto - sui soldi che l’Europa avrebbe chiesto indietro - Cialente mente sapendo di mentire perché il personaggio che ha scritto queste cazzate è un parlamentare dei Verdi che è andato lì in modo autonomo e ha scritto delle balle solo per tirare acqua al suo mulino. La Commissione europea ha sempre lodato e approvato tutti i progetti e gli interventi che sono stati eseguiti all’Aquila».
Ma se questi sono stati concepiti come alloggi provvisori, quanto tempo possono durare?
«Se fai la manutenzione durano una vita, non esiste nulla al mondo che senza manutenzione possa sopravvivere, neanche a casa mia o a casa sua. È impossibile pensare che l’impianto elettrico, idraulico, le pareti, i pavimenti e tutto il resto rimangano tali e quali senza rovinarsi. Questa è una legge della natura, delle cose. Senza manutenzione - e soprattutto se lo fai apposta per dimostrare che un’operazione splendida funziona male - è ovvio che le cose a un certo punto si rovinino, ma non puoi permetterti di dire che queste cose si rovinano perché sono state costruite male. La verità vera è un’altra. Se prendi la tua auto e non le cambi mai l’olio, dopo 50mila chilometri cosa ti succede?».
Se potesse tornare indietro, alla luce di quello che è accaduto, se potesse cambiare qualcosa cosa cambierebbe sul Progetto case. C’è qualcosa che farebbe diversamente?
«Forse farei mettere per iscritto, nero su bianco, a ognuno di quelli che ha approvato il progetto a livello politico, a livello tecnico, ma anche a livello di individui che avevano seguito l’iter, che tutto era stato fatto nel modo più trasparente e corretto possibile. Da un punto di vista progettistico, della realizzazione di tutto quello che è stato fatto, sono ancora oggi convinto che è stata realizzata un’opera assolutamente pregevole e che servirà ancora in futuro come è servita anche nella situazione di Amatrice e può essere ancora utile alla cittadinanza. Sempre che si usi a favore della cittadinanza e non come strumento di lotta politica».
Da quanto tempo non torna all’Aquila?
«Da quando ho lasciato il mio incarico di commissario per l’emergenza terremoto».
Non le viene voglia di rivedere la città che sta rinascendo, considerando la doppia velocità tra la ricostruzione privata che procede spedita e quella pubblica che arranca?
«I privati aquilani, che sono gente laboriosa, intelligente e costruttiva, le cose loro se le stanno mettendo a posto. Purtroppo, il pubblico - e lo vediamo non solo all’Aquila - stenta ad andare avanti e la dimostrazione della situazione catastrofica del terremoto dell’agosto scorso sta lì a dimostrarlo: a livello di attività pubblica siamo molto carenti».
Su Amatrice, come fase di emergenza post-sisma e di ricostruzione, che giudizio s’è fatto?
«Non parlo delle cose delle quali non mi sono occupato».
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