Massimo Cialente, sindaco dell'Aquila

L'Aquila, Cialente: «Ho fatto saltare gli affari della Cupola»

Nuove accuse del sindaco: qualcuno stava per mettere le mani sulla città. Trifuoggi: sono estraneo alle indagini, ora basta con le polemiche

L’AQUILA. Una Cupola che dominerebbe sulla città. Un gruppo di affari che ha gestito soldi, a palate. Tanti, piovuti sull'Aquila per la ricostruzione pubblica e privata. Parola di Massimo Cialente che, parlando con il Centro, non ha avuto peli sulla lingua a dipingere a tinte fosche l’animo profondo della sua città. Ma esiste davvero questa Cupola, che il primo cittadino ha detto anche di aver ridotto «ormai una cupoletta»? E soprattutto, chi ne fa parte?
Quasi 5 miliardi di euro sono già stati spesi per la ricostruzione privata, altri tre miliardi arriveranno a breve. Un giro d'affari di quasi 10 miliardi, per ristrutturare abitazioni, chiese, monumenti nel solo comune dell'Aquila. Soldi su cui avrebbero voluto mettere le mani in molti, uomini di potere, quelli che contano. E L'Aquila trema, adesso. Perché l'inchiesta su Cialente sembra avere scoperchiato un pentolone, in una strana commistione tra politica e imprenditoria. Con l'ex vice sindaco Nicola Trifuoggi, finito anche lui del calderone delle intercettazioni, che pensa però bene di smarcarsi: «Non voglio più parlare di questa storia», dice senza mezzi termini l’ex procuratore della Repubblica di Pescara.

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ADESSO BASTA. Che aggiunge: «Sono estraneo a tutta la vicenda. Non intendo tornare sull'argomento solo per rinfocolare polemiche». Trifuoggi insomma taglia corto. Si chiama fuori dall'inchiesta e dalle polemiche sul fascicolo di 500 pagine di intercettazioni. «Alzare i toni, in questo momento», aggiunge l'ex vicesindaco, «conviene solo a chi non ha altri argomenti di discussione. A chi, in piena campagna elettorale, non ha alcun progetto o idea da proporre». Quanto alle intercettazioni da cui emerge anche il suo nome, Trifuoggi chiarisce: «In tutta questa storia, come si evince chiaramente dai faldoni in mano alla Procura, l'unica mia colpa, se colpa si può chiamare, è stata quella di aver utilizzato, in una conversazione con il sindaco Cialente, un'espressione colorita. Una parolaccia. A chi non è capitato di dire una parola fuori luogo? Ma ho già chiesto scusa».

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LA CUPOLA. Questo dice l’ex vicesindaco. E Cialente? Parlando ancora con il Centro fornisce ulteriori dettagli. E non proprio rassicuranti. «Qualcuno, dopo il 2009, ha tentato di mettere le mani sulla città. Ci hanno provato alcune categorie, gruppi di affari che hanno gestito qualche milione di euro». Insomma, il primo cittadino non molla. «La mia non è un'autodifesa a tutti i costi. Non mi sento una vittima, ma credo di aver smantellato un sistema, facendo saltare gli equilibri e scardinando certi meccanismi. A fine 2013, durante una seduta del consiglio comunale, fu preannunciato da un esponente di Appello per L'Aquila, che saremmo stati travolti da un'inchiesta. La storia, a distanza di anni, si ripete: sempre con lo stesso professionista aquilano, che ha passato le carte e diffuso le intercettazioni». Cialente continua a non farne il nome. Ma aggiunge: «Mi è stato detto che qualcuno era in possesso del faldone di 500 pagine e che sarebbe partita questa operazione per demolirmi. È la stessa persona che scatenò la vicenda nel 2013».
LA STORIA. Il sindaco torna al 2015, quando si parlava della possibilità di un suo arresto: «La notizia arrivò persino in consiglio comunale. Fu allora che venni a sapere che si stava indagando su di me dal 2004, addirittura nel 2000, quando ero un medico ospedaliero. E giù intercettazioni a raffica. Perché farle uscire adesso? Per tutelare gli interessi che hanno attraversato la città negli ultimi vent'anni. E che tutti conoscono».
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