L'Aquila, morì sul Gran Sasso, assolto l’amico

Paolo Scimia scagionato dall'accusa di omicidio colposo per la morte di Massimiliano Giusti. Gli avvocati: non era abbastanza esperto da poter salvare la vittima dalla tormenta

L’AQUILA. Erano insieme sul Corno Grande e stavano scalando la vetta più alta del Gran Sasso. Poi arrivò una bufera di neve, persero i contatti tra loro, e uno dei due precipitò nel vuoto, finendo nell’abisso della Valle dell’Inferno. Massimiliano Giusti, 37 anni, morì per le gravissime fratture alla testa, allo sterno e alle costole. Ieri il superstite Paolo Scimia, che qualche giorno dopo fu recuperato dalla Forestale, è stato assolto con formula dubitativa dall’accusa di omicidio colposo. Una decisione certamente sofferta da parte del giudice Giuseppe Grieco, forse l’ultima sua sentenza prima di andare in pensione, dopo una camera di consiglio ben più lunga del previsto. Il processo ha ruotato soprattutto su un quesito: Scimia era tanto più esperto della vittima da avere un ruolo di guida e da assumersi la responsabilità di salvarlo? Una risposta certa non c’è stata, di qui l’assoluzione «perché il fatto non sussiste». Le motivazioni, che si conosceranno tra 90 giorni, chiariranno perché non è stata accolta la richiesta di condanna a un anno di reclusione da parte del pm Stefano Gallo cui si è associata la parte civile rappresentata dall’avvocato Roberto Madama. A loro avviso il giovane imputato avrebbe rinunciato ad aiutare Giusti. Di certo fu un’escursione «folle» quel 25 gennaio 2012 sul Gran Sasso, secondo la Procura. Le condizioni meteorologiche erano note. Potevano desistere e tornare indietro. Ma non lo fecero. Durante la scalata Scimia e l’amico si allontanarono e finirono per perdersi nella bufera. Scimia raggiunse il rifugio, l’altro no. Nelle precedenti udienze la tragedia è stata rivissuta con prese di posizioni completamente diverse. L’imputato, presente in aula, è stato assistito dagli avvocati Ferdinando Paone e Lanfranco Massimi. L’avvocato Madama conta di ricorrere e andare in appello per ottenere una sentenza diversa.

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