in tribunale

L'Aquila, stalking alla barista, condannato a 2 anni

La pena inflitta a un uomo ritenuto responsabile di atti persecutori nei confronti di una donna titolare del bar a Rocca di Mezzo tra l'estate del 2011 e la primavera del 2012

L’AQUILA. Atti persecutori nei confronti di una donna, all’epoca dei fatti titolare di un bar a Rocca di Mezzo. Per questo è finito sotto processo, ed è stato condannato alla pena di due anni di reclusione (con i benefìci di legge), un uomo di 52 anni, Giulio Foschi, nato e residente a Roma.

Lo ha deciso il giudice monocratico Giuseppe Grieco nel corso del processo che si è celebrato ieri. L’imputato è finito a processo in forza di un decreto di giudizio immediato (saltando la fase dell’udienza preliminare) in relazione a fatti avvenuti a Rocca di Mezzo dal mese di luglio 2011 al 23 marzo 2012. Nei confronti dell’uomo fu emessa anche la misura cautelare personale del divieto di avvicinamento alla donna.

Secondo quanto contenuto nel capo d’imputazione, l’imputato «pressoché quotidianamente, con condotta reiterata, ha minacciato e arrecato molestia» alla vittima dello stalking. Una condotta consistita anche nel «posizionamento e stazionamento di fronte al locale gestito dalla donna, osservandola ripetutamente con atteggiamento aggressivo, seguendola nei suoi spostamenti, pronunciando al suo indirizzo frasi intimidatorie quali “distruggerei tutto” e affermando in più occasioni che le avrebbe fatto chiudere l’attività, richiedendo ripetuti interventi delle forze dell’ordine contattando il numero di emergenza 112, lamentando la presenza di rumori e schiamazzi provenienti dall’esercizio pubblico, tali da disturbare la quiete pubblica, in realtà mai riscontrati dagli operanti intervenuti nel locale né segnalati da persone dimoranti nelle vicinanze».

L’accusa ha contestato anche altri episodi. Oltre ad alcune offese, come riportato nel capo d’imputazione, l’uomo aveva «imbrattato con spazzatura e residui di cibo la soglia d’ingresso, la serranda e le parti murarie del locale». Con queste condotte, l’imputato ha causato, a giudizio del tribunale, un perdurante stato di ansia e di paura, ingenerando nella sua vittima il fondato timore per la propria incolumità, costringendola a modificare radicalmente le consuete abitudini di vita. La quantificazione del danno dovrà avvenire in sede civile. La difesa preannuncia appello contro la sentenza di condanna. La parte civile è stata rappresentata dall’avvocato Paolo D’Amico.

©RIPRODUZIONE RISERVATA