MARCO DE PONTE (ACTIONAID)

«L’evento sarà un salotto di confronto nazionale»

L’AQUILA. «Questa è solo una prova. Ripeteremo l’esperienza nei prossimi anni e ci sarà sempre più gente, sempre più partecipazione». Parola di Marco De Ponte, segretario nazionale di ActionAid e...

L’AQUILA. «Questa è solo una prova. Ripeteremo l’esperienza nei prossimi anni e ci sarà sempre più gente, sempre più partecipazione». Parola di Marco De Ponte, segretario nazionale di ActionAid e ideatore della prima edizione del Festival della partecipazione.

Come è nata l’iniziativa? «Senza modestia, è una mia idea, nata da una serie di considerazioni: in primis il fatto che organizzazioni come la nostra hanno bisogno di creare meccanismi che permettano loro di andare oltre la conoscenza che generano al proprio interno. In tal senso ActionAid ha assunto un ruolo da combinar chiamando altri intorno al tema della partecipazione. Subito hanno risposto Slow food e Cittadinanzattiva, oltre che il Comune».

Perché un festival?

«Abbiamo 180mila sostenitori, un bilancio di 50milioni, siamo presenti in 47 Paesi, ma siamo comunque una realtà limitata che ha voglia di condividere i propri obiettivi. Perciò abbiamo studiato quello che hanno fatto altri soggetti di rilievo in Italia, e abbiamo visto che l’idea del festival culturale poteva essere uno di questi meccanismi: ci metti dei contenuti, ma con un programma aperto poi arrivano anche gli altri ad ampliare il cartellone. Inizialmente avevamo studiato un programma di una cinquantina di eventi, siamo arrivati a 88. Sono molto contento che l’idea di fondo di andare oltre se stessi stia funzionando».

Un’esperienza da ripetere? «Una cosa che mi era chiara quando sono venuto all’Aquila era che il festival non può ridursi a quattro giorni di eventi, bisogna che questa iniziativa diventi la spina dorsale di un ragionamento di lungo termine che duri almeno un decennio, in modo da lasciare in città qualcosa anche negli altri giorni dell’anno. Deve diventare un salotto di confronto su scala nazionale, anche perché le nostre associazioni non hanno solo carattere locale. Il festival deve farsi un nome, la politica che ci guarda, così come i cittadini, devono capire che qui c’è un dibattito vero».

Quindi il prossimo anno sarete di nuovo qui con questa formula?

«Sì. Al termine del festival ci daremo delle raccomandazioni sul da farsi per migliorare. La pianta della democrazia va sempre innaffiata. È importante un dialogo circolare tra cittadini e le istituzioni. Non si può andare da momento elettorale a momento elettorale. La risposta all’antipolitica è più politica e la partecipazione è sale della politica, sale della democrazia. Il dibattito deve sempre essere aperto e noi lo terremo aperto da questa piazza. Spero che la sera nelle prossime edizioni vedremo gente che anziché andare al mare sulla costa adriatica viene all’Aquila».

Perché avete scelto di svolgere il festival all’Aquila e non altrove?

«Abbiamo fatto una selezione tra le varie città d’Italia. Inizialmente avevamo selezionato una lista di 30 città con una serie di caratteristiche. Poi siamo arrivati a un dialogo più approfondito con l’amministrazione locale di tre città e alla fine ci siamo convinti per L’Aquila, sicuramente perché il suo sfregio fisico e la sua disgregazione all’interno della popolazione è un simbolo, ma anche perché abbiamo avuto l’impressione che ci fosse un gran voglia di fare sia nell’amministrazione comunale, quanto nell’associazionismo che si era ricreato forse a causa del sisma. Ci siamo anche detti che questa era una opportunità per contribuire nei fatti alla rinascita di una vita economica della città. Tutte le esperienze di festival culturali, non sappiamo per quale motivo, si fanno da Firenze in su. Noi abbiamo voluto dimostrare che si può fare anche nel centro sud Italia».

Come vi ha accolto la città? «Nella cittadinanza vedo un passa parola quasi quotidiano. Sempre più persone riempiono il centro. È paradossale pensare che questo è un luogo dove la gente non vive, ma che in alcune occasioni diventa punto di aggregazione fondamentale».

Michela Corridore

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