Masi: L’Aquila diventerà un esperimento nazionale

Il direttore del Tg2: bella l’idea che i cittadini si riapproprino di luoghi e spazi Noi vogliamo continuare a raccontare le storie, le paure, le emozioni

L’AQUILA. Una piazza di dialogo e partecipazione. Un laboratorio sperimentale per l’intero Paese in una città, L’Aquila, che sta rinascendo. E per farlo, necessita di un contributo di idee da condividere insieme. Dopo il sisma Marcello Masi, direttore del Tg2, ha impegnato risorse e cuore per dare luce e visibilità alla città distrutta dal sisma. Non solo nella fase della prima emergenza. Lo ha fatto puntando i riflettori sul tessuto sociale, raccontando storie, tra la gente, dove la tragedia si percepisce sulla pelle. La sua presenza al Festival rappresenta un’occasione per parlare ancora dell’Aquila in una prospettiva futura.

Direttore, il Festival della partecipazione quale valore aggiunto porterà alla città?

«L’idea è splendida. Una scelta bella e importante per una realtà che sta ripartendo e che può rappresentare una fucìna di idee e di movimenti da lanciare ed elaborare insieme. L’intuizione di far sì che i cittadini si riapproprino, in maniera costruttiva, dei luoghi e degli spazi – penso ad esempio al concetto di economia circolare – è un valore aggiunto da cui partire per costruire il futuro. Parlare del tema dell’ambiente, discutere di convivenza e socialità, non può che essere una base concreta per un rilancio costruttivo della città».

Qual è il suo rapporto con L’Aquila?

«Di profondo affetto e vicinanza a una popolazione ferita. Ci è sembrato giusto continuare a seguire L’Aquila anche nel momento in cui la prima emergenza era finita. Perché dimenticare è facile. Su questa città, con il Tg2, abbiamo fatto un’operazione profonda: a rischio non c’era solo la struttura architettonica di una realtà tra le più belle d’Europa, ma il suo tessuto sociale. Abbiamo realizzato circa 140 servizi, senza mai allontanarci con il pensiero da questa terra».

Pura scelta editoriale o motivi affettivi?

«Sono nato ai confini tra il Lazio e l’Abruzzo e questo ha accentuato la sensibiltà nei confronti del dramma degli aquilani. Ma c’è stato un coinvolgimento unanime di tutti i redattori del Tg2. La sfida nella sfida era non arrendersi a un destino che sembrava segnato. Anno dopo anno stiamo avendo la soddisfazione di veder rinascere questa città. L’immagine più bella si coglie uscendo dall’autostrada: le gru che svettano sui palazzi del centro storico e si stagliano contro i monti abruzzesi».

Quanto conta, in questo contesto, l’informazione?

«È fondamentale, soprattutto nel momento in cui si ravvisa la necessità di non dare più solo la notizia, che pure è importante, ma di entrare nel profondo dell’animo di quanti hanno vissuto una così grande tragedia. Era importante incontrare la gente, toccarla con mano, instaurare un rapporto empatico, raccogliere le paure, le emozioni, raccontare le storie. E non puoi farlo da lontano, dietro una scrivania. Questo è il motivo che ci ha portati a cercare il contatto con gli aquilani, a vivere questa realtà senza dimenticare».

Il Festival della partecipazione è una vetrina importante per la città. Un momento di confronto e dibattito su cui poggiare le basi della ricostruzione sociale.

«Lo è sul piano nazionale e, in particolare, per questa città. Al di là dell’importanza simbolica del Festival della partecipazione, questo evento incarna un format di discussione nuovo per il Paese, in quanto i modelli economico-sociali, che hanno permesso finora all’Italia di crescere, non sono più sufficienti per tenere insieme tante anime. I cittadini avvertono la necessità di riapproriarsi si spazi fisici e di dialogo. E di farlo in maniera costruttiva e partecipata».

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