Morì dopo un trapianto prosciolti sei medici

Firmato il provvedimento dal giudice dopo le richieste di Procura e difese La vittima, 56 anni, del Teramano, fu operato due volte al San Salvatore

L’AQUILA. Non ci furono responsabilità dei medici nella morte di un paziente di Cermignano (Teramo), Renato Marchiselli, in seguito a un trapianto di rene effettuato nell’ospedale dell’Aquila, avvenuto due mesi dopo l’operazione. Il caso è stato chiuso definitivamente, pochi giorni fa, dal gip del tribunale dell’Aquila che non si è opposto alla richiesta di archiviazione del pm.

La denuncia fu presentata dai familiari della vittima, che aveva 56 anni e che da tempo era in dialisi. Nel mirinoalcuni medici, ora scagionati, che avevano partecipato al trapianto e seguirono il decorso post-operatorio.

Si tratta di Francesco Pisani, Quirino Lai, Linda De Luca, Roberto Gabrielli, Olimpia Costantini, Lidia Angelosante, i quali sono stati assistiti dagli avvocati Antonio e Francesco Valentini e Angela Maria Marinangeli. L’avviso di garanzia fu un atto tecnico dovuto, per permettere loro di nominare un consulente per l’accertamento irripetibile.

Il paziente, ricoverato da due mesi al “San Salvatore”, ricevette il trapianto il 27 dicembre dello scorso anno e, dopo una prima fase di decorso post-operatorio senza evidenziare particolari anomalie, ebbe, purtroppo, un progressivo aggravamento culminato in un secondo intervento chirurgico.

Ma neppure la seconda operazione permise di superare una crisi che si fece irreversibile fino all’insorgere di complicazioni che peggiorarono il quadro clinico fino al decesso, avvenuto nel reparto di Rianimazione dell’ospedale aquilano.

L’azienda sanitaria aveva attivato la procedura per disporre un accertamento interno, ma l’esposto presentato dai familiari del paziente deceduto portò alla decisione di incaricare, per l’autopsia, l’anatomopatologo Giuseppe Sciarra.

L’uomo, che non era sposato, viveva insieme alla famiglia d’origine, assistendo, tra l’altro, l’anziano padre malato, nonostante la sua condizione di dializzato.

La chiamata dall’ospedale dell’Aquila, nella quale fu informato della disponibilità di un rene compatibile, mise l’uomo di fronte a una possibile svolta per la sua esistenza non certamente facile, considerata la dipendenza dalle terapie salvavita. A quel punto aveva accettato di sottoporsi all’intervento nella speranza di un miglioramento della sua quotidianità, pur consapevole del fatto che si sarebbe dovuto assentare per un po’ da casa e dalle necessità dell’anziano genitore. Poi il dramma imputabile, per i giudici, alla fatalità.

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