Palazzo Torlonia, un pezzo di storia della città

Dal colera del 1937 alla tragedia delle ragazze del Convitto, la piazza racconta

AVEZZANO. Nel 1837 il colera flagellò l’Italia e ovunque fu spavento, morte, desolazione. Gli avezzanesi invocarono l’aiuto della loro Patrona, Maria Santissima di Pietraquaria, e il paese fu risparmiato dal morbo micidiale.

Tommaso Brogi racconta: «Nell’anno seguente, allontanato che fu ogni pericolo, pensarono i buoni avezzanesi di fare una gran festa di ringraziamento e di unirvi la cerimonia dell’Incoronazione... la festa ebbe luogo il 16 settembre 1838 con la più gran pompa e col concorso d’una gran moltitudine di gente accorsa da tutti i paesi vicini, i quali pure largamente contribuirono con offerte ed elemosine.

Pontificò il Vescovo della Diocesi Giuseppe Segna coll’assistenza all’altare di un Canonico del Capitolo Vaticano venuto appositamente, com’è di rito, a presenziare la cerimonia. Dopo vari giorni di gioia comune, la S. Effigie, decorata di due aurei diademi, l’uno della Vergine e l’altro di Gesù Bambino, fu riportata processionalmente sul monte». Domenica 16 settembre 1838 (179 anni fa) alla presenza di oltre 20mila fedeli, il Vescovo celebrò il pontificale durante il quale la sacra immagine della Madonna di Pietraquaria fu incoronata per eternare la memoria dei prodigi elargiti in favore della nostra popolazione.
 
La solenne cerimonia avvenne presso il Palazzo che il conte Tommaso Resta per primo aveva fatto erigere sul lato ovest della grande aia, poi trasformata nella bella ed ampia Piazza Torlonia, proprio dove sorge il nuovo edificio ricostruito dopo il terremoto del 1915.

LA LAPIDE. Il conte Resta della Torre, sul luogo occupato in quella fausta circostanza dal quadro della Madonna di Pietraquaria, fece murare a ricordo la lapide con la iscrizione in latino. Tale lapide, crollata insieme al palazzo nel sisma del 1915, fu ricollocata in posizione non ben visibile: nessuno la conosce, a parte i pochi cultori di storia locale: considerata la grande importanza religiosa dell’avvenimento per Avezzano e la Marsica, si propone di sistemarla in modo che sia ben visibile a tutti oppure, in alternativa, di lasciarla ove è e di approntarne una in lingua italiana e di murarla sullo stesso edificio ad altezza d’uomo.

IL SOLCO DRITTO. Sul terrazzo di questo palazzo, fino al giorno del disastro tellurico, si sistemava la commissione giudicatrice del Solco Dritto, una gara che si svolgeva il giorno in cui si festeggiava la Madonna di Pietraquaria e che richiamava una grande folla di cittadini curiosi di osservare i contadini che, con l’aratro ed i loro buoi, si sfidavano nel tracciare - da Piazza Torlonia alle pendici del Monte Salviano - il solco migliore.

LE MURA. Fin dall’inizio dell’Ottocento, molti cittadini avevano chiesto, senza ricevere affermativa risposta, l’abbattimento delle mura che circondavano la città: l’epidemia del colera rappresentò il pretesto per attuare il disegno della demolizione della cerchia muraria ritenuta una delle cause dell’impedimento della salutare circolazione dell’aria e sicuro ostacolo all’evacuazione delle acque e dei fanghi che aggravavano le già precarie condizioni igieniche sanitarie dell’abitato.

In corrispondenza delle abbattute mura furono realizzate ampie strade (via Porta San Rocco, via Vezzia e via Marcantonio Colonna) che, di fatto, rappresentarono una minuscola circonvallazione, punto di partenza per una rapida espansione edilizia. Le costruzioni che, per la presenza della cinta muraria, non avevano facile accesso all’aia, furono così liberate da ogni impedimento; le famiglie notabili della città avevano ricevuto ancora una volta un vantaggio: Iatosti, Mattei-Minicucci, Corbi, Del Rosso-Di Renzo, Ruggeri.

L’INTITOLAZIONE. Il municipio, già da qualche decennio, aveva acquistato a nord del centro abitato un cospicuo lotto di terreno destinandolo a pubblica aia da utilizzarsi per le usuali attività collegate all’agricoltura: nel 1865, non erano ancora definitivamente ultimati i lavori di prosciugamento del lago, gli amministratori avezzanesi deliberarono di conferire al Principe la cittadinanza onoraria di Avezzano e di intitolare l’aia “Piazza Torlonia”.

Dopo la sua morte, i cittadini vollero anche erigergli un busto. Nel 1899 la piazza, di forma triangolare, fu sistemata a pubblico giardino: al centro fu costruita una monumentale fontana, parte terminale della prima condotta idrica realizzata a cura e spese del principe Torlonia a beneficio degli avezzanesi.

Lo stesso Torlonia aveva acquistato un’ampia porzione di terreno della Chiusa Orlandi-Mazzenga e vi aveva costruito un gran palazzo a tre piani ed altri fabbricati destinati a granai e rimessa d’attrezzi agricoli. La facciata aveva alla sua sommità un orologio.

L’EDIFICIO. Distrutto dal terremoto, l’edificio fu presto ricostruito con un piano in meno rispetto all’originario e l’orologio scomparve: dopo l’esproprio di Torlonia, il complesso edilizio passò all’Ente di Riforma (di valorizzazione, di sviluppo) del Fucino ed ora è sede dell’Arssa.

IL CONVITTO. Sul lato est della piazza, c’era il palazzo sede del Convitto Femminile, a gestione comunale, annesso alla Scuola Normale: esso rovinò - come tutti gli altri edifici - seppellendo ben trecento fanciulle, il personale docente e non docente; presso l’archivio storico del Comune di Avezzano, è depositato un registro contenente i verbali di rinvenimento di sole 19 persone di quelle perite sotto le pietre del convitto. Il riconoscimento avvenne con l’ausilio di genitori o di altro familiare o dei compaesani o di un’apposita Commissione lavori o attraverso il nome che era ricamato sugli abiti che indossavano.