Sangue infetto, 4 milioni per 19 famiglie 

Omesso controllo su sacche di plasma arrivate dall’Africa negli anni Novanta, pazienti morti dopo aver contratto l’epatite

AVEZZANO. Quattro milioni di euro. È la somma che il ministero della Salute dovrà sborsare in favore di diciannove famiglie della Marsica i cui parenti hanno contratto il virus dell’epatite dopo trasfusioni di sangue infetto. È quanto stabilito da due sentenze del Tar Lazio e da nove dei giudici del Tribunale amministrativo dell’Aquila. Per casi che hanno interessato persone di Avezzano, Celano, Pescina, Luco, San Benedetto dei Marsi e altri centri della Marsica che avevano subìto ricoveri negli ospedali del comprensorio.
Le somme per quattro milioni di euro dovranno essere versate nel termine di 60 giorni perché in difetto sono già stati nominati dei commissari ad acta che provvederanno, scaduto il termine, ad insediarsi negli uffici del ministero e dare esecuzione a tali sentenze. Tutte le persone coinvolte sono state contagiate, e sono poi decedute nel corso del tempo e fino ai primi anni Novanta, con il virus dell’epatite C e con il virus dell’epatite B a causa di trasfusioni di sangue non controllate e tutte riferite alla nota vicenda del ministro Poggiolini che avrebbe fatto importare dall’Africa numerose sacche di sangue infetto. In tutte le sentenze, i giudici hanno sempre sostenuto e accertato la responsabilità del ministero della Salute, allora ministero della Sanità. Infatti, già dagli anni Cinquanta, ma in particolare tra la fine degli anni ‘60 e i primissimi anni ‘70, erano noti agli studiosi, italiani e mondiali, i rischi di malattie infettive, come l’epatite, derivanti dall’uso di prodotti emoderivati, che venivano ricavati da plasma ottenuto da cosiddetti “donatori mercenari” nelle banche del sangue di Paesi – quali l’America latina, l’Asia e l’Africa – ove molto alta era la presenza di soggetti a rischio per le infezioni da Hbv e, in seguito, da Hcv e Hiv. Per i giudici, il ministero «ha omesso di vigilare sulla sicurezza delle trasfusioni di sangue e della preparazione e distruzione degli emoderivati».
La responsabilità del ministero è aggravata, poi, dal fatto di «aver consentito l’importazione di grandi quantità di plasma da questi Paesi, limitandosi solo a un mero controllo sui documenti e i certificati di origine che lo accompagnavano, ma disinteressandosi di recepire e introdurre con tempestività i più avanzati metodi scoperti dalla scienza, allo scopo di realizzare l’obiettivo tendenziale di rendere sicuro l’uso degli emoderivati». Infatti, si è dovuto attendere soltanto il 1994 «per l’attuazione del primo Piano nazionale del sangue».
Da allora i controlli sono stringenti e i rischi ridotti al lumicino.
Le famiglie marsicane sono state assistite dall’avvocato Berardino Terra.
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