Lavorazione di rifiuti elettrici alla Accord Phoenix

L'AQUILA / L'INDAGINE

Sequestrati 5 milioni all’Accord Phoenix 

Il pm: soldi ottenuti esibendo false credenziali sulla capacità di smaltire rifiuti elettrici. Indagati Baldarelli, Shankar e Pezzone

L’AQUILA. Una nuova inchiesta della Finanza si abbatte sull’Accord Phoenix e rischia di mettere in crisi i progetti di rilancio nel settore del trattamento dei rifiuti elettrici. I militari del Nucleo di polizia economica della Finanza hanno sequestrato 5 milioni, con avvisi di garanzia a tre dirigenti presunti responsabili del reato di indebita percezione di contributi statali. Si tratta del direttore Francesco Baldarelli, dell’ex presidente Ravi Shankar, dell’ex socio Adelmo Luigi Pezzoni.

David Mancini, pubblico ministero

Il sequestro è giunto al termine delle indagini delegate dal pm David Mancini, finalizzate a riscontrare la sussistenza dei requisiti che legittimassero l’accesso ai finanziamenti pubblici per il sostegno delle attività produttive e di ricerca, stanziati a seguito del sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009.
Le indagini svolte dalle Fiamme Gialle, coordinate dal tenente colonnello Francesco Maione, avrebbero evidenziato che, per l’acquisizione dei finanziamenti, i responsabili della ditta avevano falsamente attestato di possedere, tra l’altro, quei requisiti minimi di innovazione tecnologica e di durevole capacità economica previsti dal bando di Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa). In tal modo, sempre secondo l’accusa, l’Accord era riuscita a ottenere un contributo, a fondo perduto, per un importo complessivo di 10.725.000 euro (percepito in quote collegate agli stati di avanzamento lavori), per la realizzazione di un progetto del valore economico di oltre 35 milioni di euro per lo smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici.
In particolare, nonostante le attestazioni formulate dalla ditta beneficiaria, l’analitica ricostruzione investigativa avrebbe consentito di riscontrare che l’azienda non era in possesso del necessario know how nello specifico settore del trattamento dei rifiuti, ed era carente di un’adeguata organizzazione e di macchinari ad alta innovazione tecnologica. L’impresa risultava inoltre inadempiente alle leggi in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
Questi presupposti, realizzando gli estremi del reato 316 ter del codice penale (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), hanno fatto scattare anche le indagini di natura patrimoniale da parte dei finanzieri, tese alla ricostruzione e alla quantificazione di beni e disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati; portato all’esecuzione del provvedimento di sequestro di conti correnti, partecipazioni societarie, immobili e macchinari nei confronti della società e dei tre responsabili individuati, per l’equivalente importo di 4.842.000 di euro, pari alla somma dei Sal già percepiti.
«L’operazione appena conclusa», si legge in una nota degli investigatori, «testimonia come la Guardia di Finanza assicuri un sempre più efficiente contrasto agli sprechi di denaro pubblico: il corretto impiego dei fondi pubblici, oltre a garantire la sana competizione tra le imprese, rilancia lo sviluppo del territorio nonché la crescita produttiva e occupazionale. Infatti, come nel caso specifico, l’azione repressiva non va a intaccare, neanche marginalmente, la funzionalità dell’azienda e l’ordinario svolgimento dell’attività d’impresa». Nel fascicolo si fa riferimento anche ad altre persone, ma non sono indagate anche perché le indagini sono state chiuse. Gli indagati sono difesi dall’avvocato Giulio Agnelli.
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