Settanta anni fa le bombe sulla stazione

Gli alleati l’8 dicembre 1943 colpirono il nodo ferroviario e distrussero la Zecca. Centinaia le vittime fra militari e civili

Settanta anni fa. Quell’8 dicembre era un mercoledì, giorno festivo perché dedicato all’Immacolata Concezione. Tuttavia nell’officina Carte e Valori della Banca d'Italia requisita dai tedeschi gli operai precettati avevano l’obbligo di non assentarsi e di lavorare in continuità, così come avveniva anche di domenica.

Poco prima di mezzogiorno un rombo cupo e assordante fece tremare la città mentre il limpido cielo dell’Aquila veniva solcato da una trentina di aerei americani che in formazioni a cuneo si dirigevano verso l’obiettivo principale: la stazione ferroviaria sulla linea Sulmona-L’Aquila-Terni.

Instradati da un aereo segnalatore (pathfinder) che tracciò sull’area da colpire un grande cerchio di fumo bianco, gli agili bombardieri leggeri B-25 «Mitchell» armati con bombe da 250 e 500 libbre centrarono presso lo scalo ferroviario un lungo convoglio diretto al Nord, composto da una ventina di vagoni chiusi contenenti munizioni e prigionieri anglo-americani ricatturati dopo l’8 settembre.

Fu una vera carneficina di ferrovieri italiani e di soldati tedeschi, ma la fine peggiore toccò proprio ai militari alleati, imprigionati tra le lamiere dei carri merci e quasi tutti morti per «fuoco amico», carbonizzati fra orrende sofferenze.

Ai circa 150 morti della stazione (58 tedeschi, 85 alleati oltre a civili e ferrovieri) si aggiungevano, poco più in là, i lavoratori colpiti presso la Zecca di Stato, mentre svolgevano il loro turno festivo. Vennero colpiti e completamente distrutti i reparti Verifica e Numerazione, la cucina, il refettorio e la cappella, proprio mentre le nuove banconote venivano raccolte, numerate e trasportate con dei carrelli verso le casseforti blindate. Poiché per motivi di sicurezza le maestranze lavoravano in locali chiusi a chiave, anch’esse rimasero in gran parte intrappolate all’interno degli edifici. Senza contare i numerosi feriti e i morti provenienti da altre località, furono 19 i lavoratori aquilani (16 donne e 3 uomini) che persero la vita dilaniati dalle bombe o travolti dalle macerie o colpiti dallo spostamento d’aria che disperse nell’intera zona centinaia di banconote fresche di stampa.

In quegli stessi minuti, gli aerei che avevano centrato i loro obiettivi (la stazione e la zecca) avevano sganciato per errore almeno tre bombe ad alto potenziale anche sul quartiere di Borgo Rivera, all’epoca molto attivo e popolato, distruggendo delle abitazioni, uccidendo 14 civili e ferendone numerosi altri.

Trovandosi l’intera zona colpita più a valle rispetto al centro della città, moltissimi Aquilani inorriditi assistettero dall’alto al bombardamento, all’innalzarsi di dense colonne di fumo e agli schianti prolungati delle munizioni stivate nei carri, che proiettarono ovunque ogni genere di frammenti.

Inoltre, appena l’attacco fu terminato, molti parenti accorsero trafelati verso la Zecca alla ricerca dei propri cari. E insieme a loro, come spesso accade, affluirono nella zona anche molte altre persone spinte dalla curiosità o dall’occasione irripetibile di arraffare i soldi sparsi dappertutto.

Notevole fu però anche lo sforzo profuso in favore delle vittime civili e militari da parte di vigili del fuoco, medici, infermieri, religiosi. Lo stesso arcivescovo Carlo Confalonieri, appena terminata la celebrazione della messa in cattedrale, intervenne sul posto e prese parte fisicamente alle opere di soccorso.

Tre giorni dopo, il governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini, presente ad Aquila per le onoranze delle vittime, incaricò privatamente lo stesso Confalonieri di custodire nella curia arcivescovile le banconote scampate alla distruzione o al saccheggio, gli stampi, alcuni quintali di carta e l’oro depositato nella filiale aquilana della Banca. Divenuto in tal modo fiduciario dei beni della Banca d’Italia, Confalonieri svolse per qualche tempo il ruolo di sostituto del Governatore e di custode di una parte del tesoro dello Stato italiano.

Le spese per i funerali e per l’acquisto dei loculi dei dipendenti della Zecca furono sostenute interamente dalla Banca d’Italia. I civili aquilani caduti nel bombardamento furono sepolti nel cimitero dell’Aquila nella cosiddetta ala «monumentale», ove riposano tuttora (nonostante la devastazione del luogo compiuta dal terremoto e non ancora sanata). I militari stranieri furono invece sepolti in apposite aree del cimitero da cui vennero successivamente esumati e trasferiti nei cimiteri di guerra alleati o nel cimitero di guerra tedesco di Cassino.

Da notare che dopo il bombardamento, lo scalo ferroviario restò lungamente disattivato e il traffico civile e militare si svolse solo lungo le strade, ove continuarono limitati attacchi aerei su obiettivi mobili.

Inoltre, benché nel dopoguerra si sia provveduto alla bonifica dell’intera area coinvolta nel bombardamento, ordigni inesplosi furono casualmente rinvenuti ancora per molti anni, durante lavori di scavo o di ristrutturazione.

Né si può escludere che non ve ne siano ancora.

*storico

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