tre mesi dopo la strage

SULMONA. Da una parte, l’Europa Center con le sue vetrine colorate che ascrivono uno dei principali avamposti commerciali della Berlino ovest. Orologi dalle geometrie improbabili e coccodrilli di...

SULMONA. Da una parte, l’Europa Center con le sue vetrine colorate che ascrivono uno dei principali avamposti commerciali della Berlino ovest. Orologi dalle geometrie improbabili e coccodrilli di marmo che si arrampicano sulle fontane post-moderne le cui forme escono dall’asfalto. Dall’altra, la facciata della Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche, la chiesa neogotica eretta alla memoria dell’imperatore Guglielmo I e ora circondata da un cuore di vetro fatto di installazioni contemporanee, simbolo di una Germania e di un’Europa che guardano al futuro senza dimenticare le proprie origini. È proprio qui che il 19 dicembre scorso un camion impazzito rubò per sempre il futuro di 12 persone. Tra queste anche Fabrizia Di Lorenzo, sulmonese di 31 anni che a Berlino era rimasta a lavorare dopo aver studiato per un periodo alla Freie Universität. A circa tre mesi dall’attentato c’è ormai poco spazio per la retorica da “generazione Erasmus”. Al posto dei mercatini di Natale, ci sono tanti lumini in omaggio alle vittime. Disegni dai colori sbiaditi, con tanti cuoricini rosso fuoco che si librano verso l’aria in una giornata uggiosa. E la pioggia ha in parte cancellato una scritta dedicata a Fabrizia. È un messaggio da parte della sua amica Cathy, lasciato a terra forse nei giorni immediatamente successivi all’attentato.

«Porterò con me sempre il ricordo nel cuore», c’è impresso su un foglio plastificato, tenuto a terra da fiori e candele. Su quel foglio, ormai, la foto della giovane sulmonese si vede e non si vede. Più in alto, proprio davanti all’ingresso del campanile nuovo della chiesa, il volto di Fabrizia è impresso in un tabellone che rende omaggio alle 12 vittime, ciascuna contrassegnata dalla bandiera di origine. La curiosità è che solo quattro di queste sono raffigurate in foto. Le altre caselline, quasi tutte tedesche, sono solo riempite da nomi e colori nazionali. Quasi come se i berlinesi avessero voluto riservare agli stranieri uccisi un rilievo diverso.

La scalinata è presa di mira da un viavai di scolaresche italiane. Licei, istituti superiori. Chi viene da Genova, chi da Roma. Una visita breve, magari prima di mangiare un boccone al ristorante italiano “Va Piano” che si trova giusto lì di fronte, sotto l’insegna del Berliner Morgenpost, una delle testate più presenti sui fatti cittadini.

Davanti all’area dell’attentato, i ragazzi non parlano, restano in silenzio ad ascoltare dai loro professori la storia di una loro connazionale che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.

«È una vicenda così incredibile», valuta la professoressa Raffaella Landi, docente di un liceo romano i cui studenti stanno facendo uno scambio con dei pari età tedeschi, «questa ragazza è stata così sfortunata. Fa così male vedere la sua foto così giovane e così sorridente e poi dover pensare alla tragedia di questo attentato. Queste persone sono state colpite in un momento di svago, proprio mentre pensavano a fare i regali di Natale, magari da riportare a casa ai loro cari». Tutto intorno, c’è lo zoo di Berlino che si apre su una città in continuo movimento, forse la meno tedesca delle città tedesche, con i suoi riti, i suoi luoghi cult, la sua musica industriale, le sue soluzioni originali per la mobilità sostenibile tra biciclette, tram, U-Bahn e S-Bahn. Un ritmo metropolitano che non si è fermato dopo quel brutto episodio, pur aumentando la prevenzione. Entrando in alcuni locali è normale venire perquisiti, ma le procedure di sicurezza avvengono in un clima di collaborazione spontanea e naturale da parte dei clienti e dei visitatori. Neanche le immagini dell’attentato a Westminister, che dalla settimana scorsa scorrono praticamente ovunque sugli schermi televisivi, sembrano alterare questa calma apparente. Eppure, dal 19 dicembre è cambiato tutto.

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