“Ammalò di testa” quando il dolore racconta la storia

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di Michela Corridore

Per tutti era il dottor Smile. Smile, come il Servizio della Asl dell'Aquila, "per il monitoraggio e per l'intervento precoce per la lotta agli esordi della sofferenza mentale e psicologica nei giovani", di cui era re sponsabile. Smile, semplicemente come sorriso. Quel sorriso garbato ed elegante, a volte malinconico, ma mai eccessivo o sguaiato, con cui Rocco Pollice, psichiatra e docente universitario vastese, accoglieva amici, pazienti e parenti. Quel sorriso con cui affrontava la vita, tutti i giorni. Fino a un mese fa. Quando ha deciso di andar via per sempre, a soli 44 anni, nella sua abitazione inagibile dal 2009, in via Agnifili, in pieno centro storico. Un colpo di pistola, il cui suono cupo sembra rimbombare nelle vie distrutte dal terremoto. L'atto estremo di un aquilano adottivo che tentava quotidianamente di salvare gli aquilani.

«Rocco si realizzava facendo del bene agli altri. Una perdita incolmabile, una ferita profonda», dice Maria Grazia Cifone, direttrice del dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell'ambiente, che ieri mattina ha voluto ricordare in una cerimonia pubblica «l'improvvisa, tragica scomparsa dell'amatissimo professor Pollice» in un'affollata aula magna intitolata a Paride Stefanini, nel polo universitario di Coppito.

«Abbiamo voluto ripercorrere le tappe fondamentali della sua vita universitaria e le sue non comuni doti umane, tracciandone il profilo di uomo, docente, ricercatore», ha detto la professoressa Cifone «insieme alle autorità civili, religiose e accademiche, ma soprattutto insieme ai suoi studenti, ai suoi parenti e ai suoi colleghi». Un'occasione anche per scoprire quello che il dottor Smile teneva per sé o condivideva solo con le persone più care, come le parole scritte nel 2010 in una lunga lettera al collega docente e psichiatra, Massimo Casacchia. Era il sette giugno. Poco più di un anno dopo quel maledetto sei aprile 2009, una data con cui Pollice, originario del vastese, ma aquilano di adozione, doveva fare i conti tutti i giorni, per lavoro (tantissimi i “terremotati” in cura da lui), ma non solo. Parole da cui emerge la sofferenza che il dottor Smile nascondeva forse dietro quel sorriso garbato: non un dolore personale, ma la sintesi dei sentimenti di chi viveva il capoluogo nel post-terremoto. «Le invio, con affetto, alcune mie riflessioni riguardanti L'Aquila, le sue sofferenze e le difficoltà che da un anno e mezzo ciascuno di noi vive ed affronta quotidianamente», scriveva Pollice a Casacchia.

«Arrivando in città, specie in autostrada da Roma, è come vedere all'improvviso una remota "Regina" seduta fra la corte delle sue montagne. Forte identità quasi simbolica quella dell'Aquila, una città d'arte, di musica, di lavoro, di fede e di studi. Poi il 6 aprile 2009, questo suolo benigno è stato colpito da uno schianto apocalittico e i suoi abitanti dispersi, chi verso il mondo ultraterreno, chi altrove, in comunità provvisorie, promiscue ed intimorite». Le parole eleganti, come gli abiti che indossava, allo stesso modo tagliate e cucite con cura, raccontavano una realtà quanto mai vera, tanto più per chi dello studio della psiche ha fatto motivo di vita. «Per quasi tutti gli abitanti il terremoto ha distrutto le case e le cose ed ha prodotto il crollo dell’impalcatura sociale, l'annullamento delle proprie radici, della memoria storica e della propria identità. Per molti l'evento ha cancellato non solo la storia ed il presente ma anche le prospettive del futuro», continuava la lettera all’eminente psichiatra. «L’Aquila rischia di diventare un’area, un intervallo senza tempo tinto, in cui s’interrompe la normalità, si blocca lo svolgersi di un ciclo evolutivo di fatti e persone pur essendo decuplicate le attività che tali persone sono chiamate a svolgere».

È forse da quella realtà che il dottor Smile voleva salvare anche suo figlio, che portava lo stesso nome del nonno, di appena due anni, a cui inviava messaggi e vignette con su scritte frasi tanto semplici, quanto profonde: "Ricordati di essere felice" o anche "Speciale è chi sa nascondere i propri problemi dietro ad un sorriso". Con lo stesso atteggiamento affettuoso e paterno Pollice sapeva guardare ai problemi della psiche degli aquilani. Quelli che ancora oggi si sentono abbandonati dal dottor Smile, che quando ti incontrano ti fanno vedere la sua foto sul cellulare e i suoi messaggi, scritti il giorno prima di morire, e con gli occhi lucidi ripetono: "Se ne è andato". Sì, perché il professor Pollice non era solo un dottore, ma un amico, il miglior amico dei suoi pazienti, di cui conosceva le pieghe più nascoste: «Durante e dopo le scosse del terremoto, il cittadino si sentiva minacciato nella propria integrità fisica, nella propria incolumità; oggi, a distanza di tempo, il cittadino aquilano si sente minacciato nella propria identità», scriveva a Casacchia. «Alla paura di perdere la vita è subentrata l’ansia di ripiegamento che consegue all’esperienza di una perdita collettiva irreversibile. Tutta la popolazione dell’Aquila e dei Comuni limitrofi, smarrita, sradicata e deprivata del proprio contesto di vita, è divenuta potenziale “utenza psichiatrica”, da assistere e seguire quotidianamente».

Un compito al quale Pollice non si è sottratto, fino all'ultimo giorno, in corsia con i propri specializzandi, al telefono con i pazienti, con la moglie, il figlio, la sorella e i genitori. Una famiglia distrutta dal dolore, che stenta ancora a credere a quanto è accaduto e che ieri è rimasta a Coppito, dopo la cerimonia, fino a tarda sera, «quasi volessero aggrapparsi a quest'ultimo ricordo» come racconta ancora provata dalla commozione la Cifone. Molti i riconoscimenti ottenuti da Pollice per il suo intenso lavoro, tra cui quello di "miglior docente" dell'Ateneo nel 2007. Titoli che però, a lui che passava ore e ore a dipingere e a suonare, sembravano avere un significato solo marginale: «Se da tante parti sono pervenuti riconoscimenti, premi, donazioni ai servizi psichiatrici dell’Università, vuol dire che nella Clinica psichiatrica dell’Aquila è stata onorata la figura del medico in generale e del medico psichiatra in particolare, a livello nazionale ed internazionale», concludeva la lettera al collega amico. «Tutto nel caos, nelle tendopoli, nel dolore, nel panico del fuggi fuggi, nella disperazione del terremoto che induce, tra l’altro, un progressivo stato di regressione collettiva, come aveva acutamente osservato già nel I secolo a.C. l’architetto romano Vitruvio Pollione che, dopo un evento tellurico, annotò: L'uomo diventa piccolo piccolo di fronte alle fauci spalancate della natura». È così che forse anche il dottor Smile non ce l'ha fatta e si è fatto ingoiare da quelle fauci. A chi resta ha voluto lasciare un messaggio, impresso ancora sulle pareti dell'abitazione distrutta dal sisma, che lo ha visto per l'ultima volta in vita: «Sono un uomo buono».

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