Bucci, l’orafo che sogna l’Abruzzo in miniatura 

Il ponte del Mare, Rocca Calascio, la torre di Cerrano: l’artigiano di Bussi ha già realizzato 70 riproduzioni e punta a quota 500. «Sarà un museo per tutti»

PESCARA. Poter ammirare in pochi minuti il castello di Rocca Calascio e la costa dei trabocchi, gettando nel frattempo uno sguardo sulle Cento cannelle: è il sogno di Livio Bucci, 53 anni, orafo di Bussi sul Tirino, che da diversi anni si sta dedicando anima e corpo a realizzare l’Abruzzo in miniatura. Bucci immagina tutta la regione forte e gentile riprodotta in scala, fedele all’originale. E mentre immagina, Bucci fa: un pezzo dopo l’altro il museo cresce, e ora sta trovando una casa.
Bucci, qual è stata la scintilla che ha fatto scoccare l’Abruzzo in miniatura?
«Il Guerriero di Capestrano fatto da mio suocero, Fernando Di Carlo: una riproduzione simile all’originale nata per hobby, ma che ha avuto un grande successo, tanto che ha attirato anche attenzioni internazionali quando è stata portata all’Expo di Milano».
E poi?
«Sono nate le prime miniature, quasi per scherzo. Del resto all’inizio forse non ci credeva nessuno tranne io. C’è stata una piccola esposizione a Bussi, dove sono stati in mostra una quindicina di pezzi. A visitarla, però, sono venute almeno duemila persone, che non sono poche per un’iniziativa che si fa in una paese che conta circa 2.500 abitanti: e questo è stato un grande stimolo ad andare avanti».
Per arrivare dove?
«A un grande museo che sia una grande attrazione turistica, che tutti quelli che vengono in Abruzzo devono avere nell’agenda delle cose da vedere. Un po’ come l’Acquario a Genova o l’Italia in miniatura quando si va a Rimini. Questo sarebbe ancora più particolare, perché a differenza di Rimini dove c’è tutta la Penisola, qui ci sarebbe un’unica regione, cosa che finora non ha fatto nessuno in Italia».
Come immagina questo museo?
«Come una grande casa dove le scuole possano fare didattica, si possano fare turismo e cultura, coinvolgendo anche le aziende del territorio. Ci devono essere le miniature che riproducono la nostra terra, ma anche un’officina per vedere come nascono».
Quindi non sarà un museo finito ma in espansione?
«Certo: ora ne abbiamo circa settanta, ma puntiamo ad arrivare anche a cinquecento».
Ci vorrà molto spazio: dove pensa che si possa realizzare?
«Ci sono arrivate offerte da vari Comuni, come L’Aquila, Pescara, Montesilvano o Teramo. Stiamo valutando la soluzione migliore».
Come nasce una miniatura?
«Decidiamo il soggetto: in genere cerchiamo di alternare di volta in volta zona e periodo storico. Copriamo millenni di storia abruzzese, visto che si va dalla Necropoli di Fossa e le città romane come Aternum e Corfinio, fino ai ponti Flaiano e del Mare di Pescara. Una volta scelto il soggetto, andiamo sul posto, lo fotografiamo, chiediamo le planimetrie al municipio, studiamo i materiali. In alcuni casi sono stati gli stessi Comuni a chiederci di rifare un determinato monumento. Insieme a me lavorano alcuni collaboratori, fra cui Marco Baldassarre e Alessio Bucci che sono quelli più stretti».
La sua arte da dove nasce?
«Ho lavorato a lungo nelle gioiellerie Sarni e ho sempre avuto la passione per l’oreficeria: dopo sedici anni ho pensato che oltre a venderli, i gioielli avrei voluto realizzarli. Mi sono rimesso in discussione, ho studiato e ho preso il diploma da orafo. Ho il laboratorio a Bussi dove produco in particolare la presentosa, un simbolo della nostra terra».
Le miniature dell’Abruzzo quanto sono grandi in media, e con quali materiali vengono fatte?
«Di solito si tratta di due o tre metri quadrati fatti con lo stesso materiale degli originali: legno, cemento, pietra, metalli. In alcuni casi presi anche sul posto. Di solito per completare una miniatura ci vogliono fino a un paio di mesi».
La più difficile?
«I due ponti di Pescara, perché si tratta di opere moderne che andavano riprodotte fedelmente e che, a differenza di cose più antiche, non permettono di “giocare” con i particolari: ad esempio in un castello medievale un’imperfezione può essere coperta con un tocco di vegetazione, cosa che non si può fare in questi casi».
A cosa state lavorando adesso?
«Abbiamo appena finito il castello di Popoli, e abbiamo iniziato a lavorare al Gran Sasso e alla costa dei trabocchi».
C’è un’opera alla quale è particolarmente legato?
«Forse la prima, il castello di Pacentro, perché è stata la prima miniatura che ho realizzato. Ma volendo posso dire che queste opere sono un po’ come i figli: il primo è il primo, però poi si vuole bene a tutti uguale».
Non ha mai pensato di “sconfinare” in altre regioni?
«Mi è stato chiesto di fare altre zone, ma alla base di questo progetto c’è anche l’idea di far conoscere meglio la nostra regione agli abruzzesi: c’è gente che ha girato più Londra e Parigi che non l’Abruzzo. Del resto a Roma e a Milano rifanno il Colosseo e il Duomo, mica i trabocchi o la Nave di Cascella. Ho rifiutato anche offerte di chi voleva comprare alcune opere, poiché l’obiettivo è fare qualcosa che possano vedere tutti e sempre: questo museo deve diventare un qualcosa che sia di tutti gli abruzzesi, che la gente viene a vedere e ad ammirare. Ormai è questa la mia “mission”».