Castellamare, borgo cresciuto con la stazione

Sviluppo da commercio e turismo, ma dal 1883 la ferrovia dividerà la città

PESCARA. L’immagine che Il Centro regala oggi racchiude la storia dello sviluppo di Castellammare (anzi di Castellamare, come si scriveva in origine il suo nome) dai primi anni dopo l’unità d’Italia a subito prima del fascismo. Piazza Sacro Cuore, quando la foto fu scattata, si chiamava ancora piazza Vittorio Emanuele II; corso Umberto portava il titolo di «strada della Stazione»; e la stazione era il centro della fioritura economica e urbanistica della città.

IL MOTORE DELLO SVILUPPO. Senza la sua stazione, infatti, Castellamare non avrebbe mai raggiunto le dimensioni odierne, e non ci sarebbe stata ragione di unificarla con la Pescara che sorgeva al di là del fiume, l’attuale Portanuova. Sarebbe rimasta, con ogni probabilità, il borgo di pescatori che era stata sin dalle origini, coi suoi trabucchi e le poche case assiepate nei pressi del fiume. L’evento che cambiò i destini della cittadina fu l’unità d’Italia.

All’interno del regno di Napoli, Castellamare non aveva avuto alcuna importanza come nodo di collegamento viario. Ma nel nuovo regno sabaudo, essa veniva a trovarsi proprio a metà della costa adriatica. Per la verità una linea ferroviaria che attraversasse gli Abruzzi fino al Tronto, passando per Castellamare, era già stata immaginata nel 1855 dal barone Panfilo de Riseis, che aveva ottenuto dall’amministrazione borbonica il permesso di costruirla a sue spese in cambio d’una pensione di 750 ducati l’anno per 50 anni.

Ma poi non se n’era fatto nulla, e ad ogni modo la creazione di quella piccola ferrovia non avrebbe potuto avere, sul borgo, le conseguenze dirompenti che ebbe invece quella di una linea che attraversava il litorale adriatico in tutta la sua lunghezza. Il governo postunitario capì subito che l’Italia aveva bisogno d’essere unita anche nei collegamenti ferroviari, e difatti i lavori di costruzione del tratto Ancona-Foggia procedettero spediti: la piccola stazione di legno di Castellamare fu inaugurata dal re in persona a maggio 1863, e fu in memoria di quella visita che i castellamaresi intitolarono al sovrano il vasto piazzale davanti alla stazione, dove ora sorge la chiesa del Sacro Cuore.

I pescaresi, cioè gli abitanti dell’attuale Portanuova, adirono perfino le vie legali per avere una propria stazione, offesi soprattutto dal fatto che il nome «stazione di Pescara» fosse stato dato a un edificio elevato nella città rivale. Ma persero la causa. Solo con la legge 23 luglio 1881 i pescaresi ottennero il diritto di avere una loro stazione, ma quella di Castellamare rimase la più importante, anche perché nel frattempo era stata ampliata ed era diventata, dopo la breccia di Porta Pia, il capolinea del tratto che congiungeva la capitale alla costa adriatica, passando attraverso la Marsica.

TUTTO CAMBIA. Attorno al nuovo edificio fiorirono alberghi, locande e uffici delle poste. Coloro che dalla campagna si spostarono in città per i lavori edilizi, poi vi presero casa. Ancora negli anni Sessanta del secolo scorso, Annarita Severini scriveva che, nei racconti degli abitanti più anziani, si riscontravano credenze rurali, come quella dei «mazze marille», i folletti dispettosi, delle «scardapinecchie» o nei poteri taumaturgici di alcuni individui eccezionali, e che ancora si raccontavano leggende legate a morti improvvise e violente.

Nuovi aggregati di case spuntarono come funghi, ad esempio fra viale Bovio e la Madonna dei Sette Dolori, o vicino alla foce del fiume. La facilità di movimento favorì anche lo sviluppo dei commerci. Non solo crebbe Castellamare, ma crebbero Silvi Marina, Montesilvano Spiaggia e Giulianova. Nacque dal nulla Rosburgo, la futura Roseto degli Abruzzi, su un territorio prima paludoso del comune di Montepagano: molte aree malsane infatti erano state bonificate.

Non solo, ma sorsero stabilimenti industriali: Michele Muzii impiantò nei pressi della propria villa una fabbrica di liquirizia che dava impiego a 70 operai, oltre a una fornace di laterizi, e Giuseppe De Riseis, nel 1867, aprì accanto alla propria villa un oleificio a vapore che procurava lavoro a circa trenta persone. Vicino alla stazione fu elevato l’albergo «Leon d’oro». Nel 1874 il ricco mercato che dapprincipio si trovava in viale Muzii fu trasferito nel vasto spiazzale davanti alla stazione ferroviaria, quello intitolato a Vittorio Emanuele II.

Sul finire del secolo fu deciso di costruire lì anche la chiesa del Sacro Cuore: farla sorgere nella piazza del mercato era infatti l’unico modo per garantire a tutti i cittadini un facile accesso al culto. Il Comune tuttavia fu molto avaro, e concesse per l’edificazione della chiesa solo un modesto contributo di 1.500 lire annue. Più cospicue furono le offerte dei privati, fra cui il nuovo sindaco Enrico Iasonni, l’ex sindaco Leopoldo Muzii, figlio di Michele, e l’arciprete Antonio Giannantonio. La chiesa fu inaugurata, ancora incompleta, nel 1900.

Due anni più tardi la richiesta dell’arciprete di costruire un campanile venne respinta «per motivi estetici». Si era in età postrisorgimentale, il conflitto fra Stato e Chiesa era ancora aperto e ancora valeva la bolla di scomunica per i cattolici che andavano a votare alle elezioni del Regno d’Italia. I liberali avevano ancora bene in mente le difficoltà che Pio IX aveva creato a Cavour. Solo nel 1924 i lavori della chiesa poterono riprendere, e il campanile non venne innalzato che nel 1936.

UN PIANO CRITICATO. Nel 1876 in Italia cadde la Destra storica e andò al potere la Sinistra di Agostino Depretis. Cambiò anche l’amministrazione di Castellamare, con l’ascesa al potere di Leopoldo Muzii. Questi fece disegnare, nel 1883, un «piano d’ampliamento» (un antenato del piano regolatore), ma lo modificò in modo tale che la sua villa risultasse al centro di tutto lo sviluppo urbanistico, tralasciando qualsiasi altra cosa.

Tito Altobelli, l’estensore del piano originario, si lamentò così: «Che cosa si è ottenuto? Due lunghe file di villini alle due sponde della strada provinciale, le quali presentano ancora molte spezzature. Anche ammesso che questi interstizi non edificati si possano occupare con altri edifici, questi continueranno magari fino a Montesilvano ma mai si allargheranno a destra e a sinistra, perché di qua lo spazio è chiuso dalla ferrovia, ed appena oltre di questa si trovano gli arenili e la collina...

E da questo avviene che il nuovo Castellamare offre tanti piccoli nuclei... i quali sarà impossibile rendere continui ed aggregati mediante altri fabbricati, e molto meno unir questi a Pescara» (in Antonello Alici, «Pescara e Castellammare: appunti per una storia urbana»). Si gettavano le basi, insomma, per quello squilibrio di cui ha scritto anche Luigi Lopez, per cui la città appariva divisa in una «vetrina», il centro, e in una periferia che ne sembrava quasi lo sgabuzzino e che cresceva disordinatamente dietro la stazione.

Non solo, ma il giornalista Guglielmo Luise criticava Muzii che aveva permesso, benché medico, che lungo l’attuale corso Vittorio venisse lasciato aperto un canale di spurgo frequentato da tutte le specie d’insetti, che rendeva inabitabile la zona durante l’estate. Ancora nel 1891 la Provincia di Teramo, sotto la cui giurisdizione Castellamare ricadeva, era restia a definirla «città», considerandola piuttosto un insieme di sparse villine.

I problemi di quell’irregolare sviluppo urbanistico condizionano Pescara ancora adesso: nel 1957 Guido Piovene, nella sua inchiesta sulle città italiane, scrisse che la stazione era stata dapprincipio la fortuna della città, ma che poi, per come la tagliava per il lungo, si era rivelata la sua croce.