«Così Francesco ci sorprese con il Giubileo»

Scelzo racconta un Papa a tratti inedito sempre dalla parte dei deboli e dei sofferenti

di PAOLO ROMANO

È un viaggio tra storia e attualità dentro il Giubileo, l’ultimo libro di Angelo Scelzo “Il Giubileo, la Misericordia, Francesco” (Libreria Editrice Vaticana, 2015 - pagg. 376 - euro 16.00). Scelzo è vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede.

Scelzo, il suo libro vuole illustrare innanzitutto la genesi del Giubileo della Misericordia?

Si, è vero perché l’iniziativa di questo Giubileo non solo si lega a tutto il pontificato, ma sotto molti aspetti ne svela pienamente il carattere. Quando, poco meno di un anno fa fu annunciato in San Pietro, ricordo che di fronte alla sorpresa per un “importante annuncio” dato per imminente nelle ore della vigilia, avvertii, subito dopo, anche una sorta di disappunto: come non averci pensato prima? Appena proclamato, il Giubileo straordinario della Misericordia apparve subito come l’evento più coerente per un Papa che non aveva tardato, già dalla sua prima apparizione alla Loggia di San Pietro, a mettere la misericordia al centro di tutto. Il libro si apre proprio con il racconto, in termini di cronaca giornalistica, dei momenti in cui Papa Francesco svelava al mondo la sua straordinaria intuizione.

I “segni” di una insistenza sul tema della misericordia si sono visti sin dai primi momenti del pontificato di papa Francesco?

Ogni Giubileo appartiene al Papa che lo proclama. Nella misericordia batte il cuore di tutto il pontificato di Francesco. Vorrei far notare una particolarità che spesso sfugge: non stiamo celebrando soltanto un Giubileo straordinario, bensì un Giubileo inedito perché mai s’era visto un Anno Santo a tema.

Un capitolo del volume è dedicato ai testimoni del Giubileo della Misericordia, tra questi san Pio da Pietrelcina e san Giovanni Paolo II con il quale lei ha lavorato a lungo. Due grandi del Novecento?

Due grandi della storia della Chiesa. Due santi che, tra l’altro, si sono conosciuti, hanno avuto contatti diretti. Giovanni Paolo II è andato a scovare la santità anche nel confessionale di un umile frate del Mezzogiorno d’Italia. E’ stato lui a canonizzare San Pio, a fare modello per gli altari un sacerdote che mai si era mosso, in vita, dal suo presidio di preghiera e di accoglienza. Papa Francesco è il papa della misericordia ma anche un pontefice di grande forza diplomatica: Cuba, la Russia, la Cina. Fronti difficili che mettono in risalto il suo ruolo internazionale.

Non crede che spesso questo impegno sia sottostimato?

Non si tratta di aspetti divergenti. La misericordia che Papa Francesco ha posto al centro del suo pontificato è tutt’altro che un sentimento vago, privo di effetti o riscontri concreti: anche sul piano diplomatico. Le ferite sono dappertutto e non riguardano solo le grandi emergenze, come la diaspora di migranti, la fuga di intere popolazioni da guerre, fame e carestie. E’ una grande emergenza anche quella che impone di mettere mano ai meccanismi distorti e infami che stanno dietro alla grande sequenza di tragedia.

Tra gli appuntamenti giubilari c’è la Giornata della gioventù di Cracovia.

Nella città di Papa Wojtyla e di suor Faustina Kowalska i giovani che andranno potranno vivere momenti intensi accanto a un testimone come Francesco che è pronto ad aprire con loro pagine nuove, nella terra di Wojtyla.

In calendario anche il Giubileo degli ammalati e dei disabili. Papa Francesco non perde occasione per abbracciarli. Ne riceve davvero tanti?

Ne riceve molti di più di quelli ufficialmente registrati. Svelo un piccolo segreto professionale: noi collaboratori della comunicazione abbiamo l’ordine di tenere lontani fotografi e giornalisti da questi incontri. Talvolta anche i mezzi di “casa”, come il fotografo ufficiale o gli operatori della televisione vaticana. Le immagini sono limitate, di solito, alle udienze generali in piazza San Pietro. Il Papa vuole essere lasciato solo. Gli incontri con ammalati e disabili sono un capitolo a parte di questo pontificato. Sono i momenti in cui il Papa non guarda l’orologio, incontri di un intensità unica. E’ lui che si avvicina o si piega. E abbraccia, parla, chiede il nome, si informa sull’assistenza e sugli assistenti. Ogni malato è il suo mondo, la sua “riserva” di misericordia.

Papa Francesco ama molto la figura di San Matteo, è un po’ il suo patrono?

Certo. E il motivo lo spiegato lo stesso Papa Francesco. A San Matteo, infatti, deve la sua vocazione sacerdotale. Così ha raccontato questo passaggio cruciale della sua esistenza: “nel 1953, mentre la mia fede era un po’ appannata, nel giorno della festa dello Studente, il 21 settembre, decisi di fare uno salto in chiesa dive incontrai padre Duarte, che non avevo mai visto prima. Mi confessai e mi trasmise un senso di grande spiritualità. Quell’incontro fu decisivo per la mia vocazione. Il 21 settembre era la festività di San Matteo. Da allora quella data appartiene intimamente alla mia vita sacerdotale e umana”.