D’Alfonso, il Comune fa il conto

Il legale: abbiamo subìto danni patrimoniali e d’immagine.

PESCARA. Neppure il tempo di affilare le armi, che è arrivato subito il momento di riporle. In un quarto d’ora senza emozioni né colpi di scena si esaurisce il primo confronto tra procura e difesa sul caso tangenti che un anno fa costrinse Luciano D’Alfonso ad abdicare, appena 8 mesi dopo essere stato rieletto sindaco per un pugno di voti. Confronto mancato e subito rinviato, perché le sabbie mobili delle omesse notifiche sono una tassa obbligata a palazzo di giustizia. E l’inchiesta Housework sulle presunte tangenti negli appalti pubblici al Comune di Pescara non fa eccezione. Alla prima “verifica” dopo la richiesta di rinvio a giudizio firmata a fine luglio dal pm Gennaro Varone, dunque cinque mesi fa, salta fuori che in tre non hanno ricevuto l’atto con il quale è stata fissata la prima udienza preliminare.

Sono un avvocato di Lanciano, una delle 13 parti offese e l’imprenditore Carlo Toto, nome eccellente dell’inchiesta oggi nella curiosa posizione di imputato non rintracciato. I numeri del processo, con 26 indagati e altrettanti avvocati, non annunciavano nulla di buono e il gup Guido Campli non ha potuto fare altro che prendere atto delle omesse notifiche e rinviare il processo al 6 aprile, a un anno preciso dal terremoto che ha squassato l’Abruzzo. Così, restano chiusi anche i fascicoli delle parti civili non ancora costituite, ieri rappresentate dai legali dei gestori del bar del tribunale (per il tentativo di concussione contestato a Guido Dezio) e dall’avvocato Claudio Di Tonno, che invece rappresenta il Comune di Pescara.

L’Ente è pronto a chiedere i danni patrimoniali, diretti e indiretti, nonché quelli d’immagine all’ex sindaco arrestato il 15 dicembre 2008 per corruzione, accusato di avere pilotato - per presunti tornaconti personali - il project financing da 18 milioni per il cimitero e il mega appalto da 50 milioni dei parcheggi dell’area di risulta. Le presunte dazioni sarebbero arrivate a D’Alfonso anche da altri imprenditori in cambio di una «volontà politica benevola» che avrebbe garantito affidamenti di lavori a trattativa privata o in via diretta. Il Comune non ha ancora quantificato la cifra del presunto danno che l’Ente avrebbe subìto a causa della condotta dell’ex sindaco.

Il quale in primavera, subito dopo Pasqua, quando l’udienza preliminare entrerà nel vivo, potrebbe decidere di intervenire personalmente per articolare la sua difesa, finora tenuta blindata. L’ultimo tentativo di picconare le accuse risalgono a un anno fa, nei giorni degli arresti domiciliari poi revocati dal gip Luca De Ninis alla vigilia di Natale. Da allora, D’Alfonso non ha più parlato con gli inquirenti, neppure dopo che il gip gli ha sequestrato la villa di Lettomanoppello, neppure dopo che il pm ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini, prodromico alla richiesta di processo. Ieri mattina, l’ex sindaco non era presente in aula, e come lui nessuno degli altri 25 imputati, tra staff di D’Alfonso, dirigenti comunali e imprenditori.

Al 6 aprile, l’ex leader regionale del Pd potrebbe arrivare forte di un successo giudiziario - se verrà prosciolto - o con il peso di un processo in tribunale da affrontare, se il 23 febbraio lo stesso gup Campli deciderà se rinviarlo a giudizio oppure no sul caso del concorso per l’assunzione in Comune dell’ex dirigente al patrimonio Guido Dezio. Nel frattempo, il pool composto dai pm Giampiero Di Florio, Giuseppe Bellelli e Gennaro Varone avrà tirato le conclusioni dell’inchiesta sull’urbanistica, scremata da molte accuse ma ancora in piedi.