trump, brexit e l'abruzzo

Dazi Usa più pesanti sull’import: «Passo indietro da scongiurare»

Oggi su tutte le merci si pagano già dei sovrapprezzi, ma le imprese temono un nuovo giro di vite Becci (Centro estero Camere di commercio): al momento è un annuncio, speriamo che resti tale

PESCARA. Se la guerra dei dazi annunciata da Donald Trump dovesse diventare realtà, a farne le spese sarebbero molte imprese abruzzesi. L'Abruzzo esporta infatti verso gli Usa una gran quantità di merci diversificate, e solo pochi giorni fa il presidente degli Stati Uniti d'America attraverso il Dipartimento Commercio avrebbe dichiarato che circa 90 prodotti provenienti dall'Europa potrebbero essere soggetti a tariffe in ingresso. Un muro commerciale che verrebbe elevato per tutelare il mercato interno rendendo meno competitivi i prodotti importati, che potrebbero subire un aumento sino al doppio del prezzo.

E in Abruzzo cosa accadrebbe? Attualmente qualsiasi merce importata negli Stati Uniti prevede il pagamento del dazio. L'ammontare del pagamento dipende dalla classificazione prevista nella Harmonized Tariff Schedule. Il tariffario prevede tre tipologie: dazi ad valorem, l’importo è cioè basato su una percentuale del valore della merce; dazi specifici, cioè un ammontare preciso per ogni unità di peso e dazi misti, che considerano entrambe le tipologie.

E' anche possibile importare prodotti non consumabili senza pagare alcun dazio, nel caso in cui si partecipi ad eventi classificati come fiere da parte del Dipartimento Commercio degli Stati Uniti, purché vengano registrate nelle dogane dei paesi nei quali si tiene l'evento. Gli Stati Uniti, dicono dal Centro Estero delle Camere di Commercio d'Abruzzo, rappresentano il quarto partner commerciale della nostra regione. «Nel 2016 le esportazioni hanno registrato un aumento del +20,6% per un totale di 473 milioni di Euro», fa sapere dall'Ente la dottoressa Sara Napoleone sulla base della rielaborazione dei dati Istat. «Le esportazioni abruzzesi nel 2016 negli USA sono state principalmente concentrate sui seguenti settori: computer e prodotti di elettronica e ottica; apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi, per un totale di 189 milioni di Euro e con un incremento del 18 per cento rispetto al 2015, macchinari e apparecchiature, per un totale di 72 milioni di Euro, ed un aumento del 62% rispetto all'anno precedente, prodotti alimentari, esportati per 67 milioni di euro, il 10 per cento in più che nel 2015, i prodotti delle industrie manifatturiere come gli articoli di gioielleria, sportivi, strumenti musicali, giochi e strumenti medicali, per un totale di 36 milioni di Euro, il 28 per cento in più rispetto al 2015, ed infine le bevande, per un totale di 24 milioni di Euro, il 6 per cento in più che l'anno precedente». In definitiva, le esportazioni dall'Abruzzo negli Usa sono in crescita, ed attualmente il settore più forte, ed anche quello che risentirebbe di più di eventuali aumenti, sarebbe quello delle tecnologie. Al contrario, nella domanda abruzzese di prodotti statunitensi sono prevalenti carta e prodotti in carta, prodotti agricoli, animali e della caccia, macchinari e apparecchiature. «Prospettive di crescita degli scambi», prosegue sempre il Centro Estero, «si sarebbero potute aprire con l'accordo Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), i cui negoziati sono stati avviati da Unione Europea e Stati Uniti nel secondo semestre 2013. L'accordo avrebbe potuto portare non solo al progressivo abbattimento delle barriere tariffarie residue, ma anche alla soluzione di problematiche non tariffarie e all'armonizzazione di standard e regolamenti». «Un aumento dei dazi comporterebbe un globale passo indietro», è il commento di Daniele Becci, presidente della Camera di Commercio di Pescara e del Centro Estero dell'Abruzzo, «e sono sicuro che anche le nostre imprese ne risentirebbero, nonostante le rassicurazioni del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che sostiene che la qualità non ha frontiere. Io penso che in un mercato globalizzato, dove c'è una tendenza a costruire ponti e non ad edificare muri, una decisione del genere, che al momento è solo un annuncio, peserebbe in modo consistente e ci riporterebbe indietro di molti, molti anni».

Ma nella guerra commerciale tra paesi non bisogna sottovalutare gli stessi europei. Ci sono naturalmente gli inglesi che hanno iniziato a trattare l’uscita dall’Unione europea. Ma c’è già un altro fronte già aperto: l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti, che indica con i bollini rosso, giallo o verde il contenuto di nutrienti critici per la salute come grassi, sali e zuccheri. Si sta diffondendo in Europa e boccia ingiustamente quasi l’85% del Made in Italy a denominazione di origine (Dop) che la stessa Unione Europea deve invece tutelare e valorizzare.

E’ quanto è emerso da uno studio della Coldiretti illustrato ieri dal presidente Roberto Moncalvo a Strasburgo durante un convegno dove sono stati esposti i primi esempi concreti di prodotti simbolo dell’Italia «criminalizzati ingiustamente», dice Moncalvo, «dall’etichettatura con i bollini a semaforo raccolti nei supermercati europei dalla stessa Coldiretti. «L’Unione Europea deve intervenire per impedire un sistema di etichettatura, fuorviante discriminatorio ed incompleto che finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali», ha detto Moncalvo. L’etichettatura sino ad oggi è stato adottato capillarmente dalla Gran Bretagna. Ma il sistema sta per essere esteso anche in Francia. Ad essere bocciati dal semaforo rosso ci sono tra gli altri le prime tre specialità italiane Dop più vendute in Italia e all’estero come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ed il prosciutto di Parma, ma si arriva addirittura a colpire anche l’extravergine di oliva, considerato il simbolo della dieta mediterranea.