Docenti, scatta la corsa alla pensione 

Nella nostra regione in 537 hanno già deciso di lasciare l’insegnamento nel 2018. Lo fanno per paura di una nuova riforma

PESCARA . Timore di una nuova riforma pensionistica, ancora più penalizzante rispetto alle norme in vigore, aumento dei carichi di lavoro e peggioramento complessivo della qualità della vita.
Sono questi i principali motivi per i quali molti docenti italiani di ogni ordine e grado vogliono andare in pensione. A livello nazionale sono 23.691, di cui 537 in Abruzzo, gli insegnanti che hanno chiesto di essere collocati a riposo, ai quali vanno aggiunti altri 197 profili Ata, sempre in Abruzzo. Un dato tutto sommato contenuto, rispetto a quello nazionale che ha visto un’impennata del 25%, come fa notare Davide Desiati, segretario di Cisl Scuola Abruzzo e Molise. «Anche considerando le nuove assunzioni degli ultimi anni», sottolinea, «l’età media del personale della scuola non è diminuita. Se in alcuni casi prevale il timore di un innalzamento dell’età pensionabile, dall’altra sia i docenti, sia il personale Ata sentono la necessità di trattenersi in servizio fino all’ultimo giorno utile per maturare qualche euro in più per la pensione, costruita con un bassissimo livello di retribuzione nella vita lavorativa». Si tratta di uno degli effetti più evidenti della precarizzazione.
LA FUGA. L’aumento delle domande di pensionamento a livello nazionale, e anche a livello regionale sebbene in maniera più contenuta, sono da ricondurre principalmente al timore di una riforma pensionistica che preveda un nuovo innalzamento dell’età anagrafica, all’ipotesi di un rinnovo contrattuale che non soddisfa le aspettative della categoria, ma soprattutto al peggioramento delle condizioni di lavoro. «In particolare», aggiunge Desiati, «parliamo dell’innalzamento del numero medio di alunni per classe, dello smisurato aumento dei ritmi lavorativi, l’eccessiva burocratizzazione, l’incremento della conflittualità, la mancanza di piani di formazione».
GLI STIPENDI. I lavoratori della scuola, aggiunge Desiati, «uniscono al livello di retribuzioni molto basso (oltre 6 mila euro in meno rispetto alla retribuzione media nel pubblico impiego) l’umiliazione di una pensione ancora più mortificante al termine di una vita lavorativa penalizzata anche dall’accesso tardivo all’assunzione a tempo indeterminato, dopo tanti anni di precariato. L’insegnante è costretto a lasciare un lavoro vocazionale, a cui ha dedicato la vita e che ha come unica soddisfazione il rapporto educativo che si instaura con gli alunni, con la prospettiva di una pensione ancora più inadeguata delle retribuzioni».
I NUMERI. In Abruzzo, il 32,2% degli abbandoni riguarderà le scuole superiori. A seguire, il 28,49% interesserà la scuola primaria, il 19,18 le scuole medie, il 18% la scuola dell’infanzia e il 2% il sostegno. La provincia nella quale si registra il maggior numero di domande di pensionamento è Chieti (155), seguita da Teramo (135), L'Aquila (132) e Pescara (104).
PROF SCONTENTI. Nel mondo della scuola la motivazione e la dedizione del personale è assolutamente determinante sulla qualità del lavoro svolto, «ma retribuzione e prospettive pensionistiche», conclude Desiati, «sono elementi assolutamente mortificanti. La nostra scuola ha anche l’obiettivo di formare l’uomo e il cittadino. È a scuola che vengono insegnati il valore della Costituzione Italiana e la funzione della Corte Costituzionale. Viene insegnato che la Corte Costituzionale garantisce la legittimità delle azioni del Governo. L’insegnante è la persona a cui oggi sono affidati tali insegnamenti, nonostante la mortificazione subita dai Governi che illegittimamente, secondo la Corte Costituzionale hanno bloccato gli stipendi e di conseguenza hanno ulteriormente disastrato le pensioni».