Esami falsi, Riccardi si difende dalle accuse 

L’ex sindaco di Manfredonia risponde al pm: «Sbagliò il prof Visini a scrivere la data delle prove»

PESCARA. Parla per circa un'ora cercando di difendersi dalle accuse di corruzione per i cosiddetti falsi esami all’università D’Annunzio di Pescara nella facoltà di Scienze manageriali.
L’ex sindaco di Manfredonia, Angelo Riccardi, che siede sul banco degli imputati insieme all’imprenditore pugliese Michele D’Alba e a Joelle Toutou, compagna del professore di Tecnica bancaria che per le stesse vicende ha già definito al sua posizione, ha ricostruito la vicenda processuale che lo riguarda davanti al collegio, rispondendo alle domande dell'accusa (il pm Tommolini). Cosa accadde per quei tre esami finiti sotto inchiesta: inglese, matematica e psicologia del lavoro.
«Quello che ho detto oggi», ha affermato l’imputato, «vi assicuro che è la verità». Una dichiarazione necessaria per rispondere alle contestazioni mosse dalla pubblica accusa in relazione a quanto lui stesso dichiarò nel 2014 al gip.
«Quella vicenda mi colpì molto e nell’interrogatorio avrò detto anche cose non avvenute perché non ero lucido». Le contestazioni erano relative ai tre esami finiti nel mirino della procura, sostenuti in una data e verbalizzati magari mesi dopo. Date peraltro completamente diverse da quelle che ieri ha elencato lo stesso imputato. «Evidentemente», ha detto Riccardi al pm, «ha sbagliato il professor Visini (docente di matematica) a scrivere il 12 giugno mentre la registrazione è del 16 giugno». Sta di fatto che l’accusa ha poi depositato al collegio la copia del libretto universitario di Riccardi con una data diversa da quella che lui stesso ha fornito in aula. Quanto al reato di peculato Riccardi ha detto: «È l'accusa che più mi dà fastidio. In quel periodo ero sotto analisi e dovevo essere accompagnato. Per evitare problemi, comunque, per tutta la durata del mio incarico di sindaco, 9 anni, versai al Comune di Manfredonia 50 euro al mese in maniera forfettaria per l’utilizzo dell’auto. Ho commesso forse una leggerezza, ma non credo di aver arrecato danni a nessuno. Presumo che questa vicenda sia stata valutata con elementi diversi, ma vi assicuro che quello che ho detto è la verità».
Sul suo rapporto con il professor Panzone, e quindi sulla presunta corruzione, Riccardi ha riferito ai giudici che «sulla compravendita della famosa casa, avevo di fronte un uomo disperato che doveva sistemare una questione personale che lo affliggeva. Panzone aveva peraltro una compagna aggressiva che voleva subito la soluzione per la casa (che era andata all'asta per i debiti del professore). Io mi iscrivo alla facoltà nel 2009 e non potevo immaginare che nel 2012 Panzone avrebbe avuto questo problema. Come sindaco avrei potuto dargli un incarico, ma non lo feci e né me lo chiese Panzone. Non avrei mai potuto dargli i 50mila euro di cui aveva bisogno per riacquistare la casa».
Il prossimo 30 settembre ultima udienza con discussione e sentenza. (m.cir.)
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