«Genitori e insegnanti tornate a ragionare con i vostri ragazzi» 

Stefano Rossi e il metodo che ha formato 40mila docenti Lo psicopedagogista sarà all’auditorium Petruzzi questa sera

PESCARA. «Spegni il telefono, stacca dagli impegni per un po’, siediti accanto a tuo figlio e ascoltalo. Crea empatia, fagli sentire che davvero vuoi stare con lui, comunicagli il calore della famiglia. In questo modo gli trasmetti sicurezza e la sua autostima aumenta».
Lungo i percorsi tortuosi dell’educazione, con le famiglie che navigano a vista indecise se essere “autorevoli o autoritarie”, questa potrebbe essere una delle strade da percorrere per diventare dei buoni genitori e aiutare i figli ad affrontare le sfide della vita.
A fare chiarezza nel buio delle proprie capacità genitoriali ed educative, saranno i suggerimenti di Stefano Rossi, 37 anni, comasco, carismatico psicopedagogista scolastico, ideatore del metodo che porta il suo nome sulla «didattica cooperativa» sulla quale si sono «formati 40mila insegnanti in Italia» che oggi sarà a Pescara. Alle 20.30, all’auditorium Petruzzi, Rossi sarà il protagonista dell’incontro sul tema «Figli forti e resilienti, come prepararli alle sfide della vita», organizzato dall’istituto comprensivo 1 di Pescara diretto dalla preside Teresa Ascione e patrocinato dal Comune. Saranno presenti famiglie e docenti. La dirigente scolastica auspica che «genitori e insegnanti parlino un linguaggio comune. In una società soggetta a mutamenti, con famiglie allargate, la paura dello straniero e della perdita del lavoro, la fragilità delle famiglie, smarrite o latitanti, sono le stesse dei bimbi e Stefano Rossi è una voce autorevole e accreditata per esplorare i ruoli e comprendere i passi da compiere». Ecco alcune anticipazioni dell’incontro di questa sera, nell’intervista rilasciata al Centro da Stefano Rossi alla vigilia dell’evento.
Rossi, in cosa consiste il suo metodo?
La filosofia, che ho sviluppato nel corso degli ultimi 15 anni lavorando al fianco di giovani alle prese con problematiche varie come l’abbandono scolastico, è quella degli esploratori coraggiosi. Genitori che con i docenti equipaggiano i nativi di un millennio intriso di incertezze e sempre più digitale. Il mio metodo spinge gli insegnanti a spiegare le lezioni per pochi minuti, altrimenti la soglia di attenzione si abbassa, poi rendere protagonisti gli studenti con lavori a coppia coltivando il loro pensiero critico e creativo, quindi tornare a ragionare tutti insieme negli ultimi minuti di lezione.
Quali sono le battaglie quotidiane degli insegnanti?
Quella della soglia di attenzione che i nativi digitali hanno molto bassa; quella della motivazione perché i docenti, che devono avere una funzione educativa e creare un ponte di empatia con gli studenti, devono trovare una buona ragione per essere ascoltati.
Che problemi hanno i ragazzi di oggi?
Di fragilità emotiva spesso derivanti da famiglie conflittuali. Laddove non trovano affetti, portano la sofferenza in classe. I bambini sono come una barca con due remi: scuola e famiglia. Funziona tutto se i remi vanno a ritmo. Siamo passati da una società con genitori autoritari a una con genitori che devono allenare alla vita, dare regole gestendo i conflitti, insegnare coraggio, ottimismo e il piacere di imparare.
Come si diventa un genitore autorevole?
Bisogna avere il dono dell’ascolto, spegnere il telefono, sedersi accanto al figlio e fare cose insieme a loro che sia un film, una chiacchiera, insomma dedicare del tempo, fargli sentire che vuoi stare con lui, che la casa è un luogo caldo e accogliente. Arrivare a quella routine che crea certezze e fortifica l’autostima. Senza avere fretta, senza urlare, farsi raccontare i problemi e farli arrivare a una soluzione, non fornendogliela, ma aiutandoli a ragionare. Non ti dico cosa fare se il tuo compagnuccio ti ha picchiato, ti faccio riflettere su come sbrigartela. Se poi il litigio è quotidiano, allora diventa bullismo e bisogna parlare con gli insegnanti, prima di tutto.
Come si impartiscono le regole?
Si spiegano insieme alle conseguenze delle inosservanze, utilizzando toni bassi, fermi e gentili per insegnare al bimbo l’autoregolamentazione.
Urlare e picchiare: quanto è diseducativo?
Spaventa il bambino, gli fa perdere il controllo e aumenta la sua rabbia. Non si può educare un individuo alla non violenza utilizzando un approccio violento. Le punizioni corporali creano adulti che non sanno gestire gli impulsi. Non si punisce un brutto voto togliendo gli allenamenti sportivi, meglio dire: per un po’ ti occuperai del fratellino, preparerai la tavola, metterai in ordine le tue cose.
Il buon genitore?
Meglio un genitore “allenatore” che ti allena alla vita e ti insegna a rialzarti dalle cadute che un “Superman” che si sostituisce al figlio, magari in buona fede. Non è preparandogli la cartella e portandogliela in classe se la dimentica, oppure fare i compiti al posto suo o litigare con il genitore del bimbo che lo ha picchiato, che aumenta l’autostima del bimbo. Al contrario, la diminuisce. Il buon genitore educa i figli assegnando piccoli compiti e a prendere decisioni poco alla volta.
I telefonini?
A mio avviso, niente schermi fino a cinque anni e niente smartphone prima dei 12 anni, con la rete diventano incontrollabili.
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