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Giovane mamma salvata dopo 8 ore di intervento

Tre staff medici operano una donna affetta da una disperata emorragia alla testa Di Egidio: rara operazione al cervello, ora la paziente sta bene e scherza con noi

PESCARA. «La paziente era quasi morta. Abbiamo discusso tra noi, in maniera collegiale, se fosse giusto proseguire o meno l’intervento, se tentare di sfruttare quella possibilità su cento di salvarla o se invece continuare a operarla fosse stato solo un accanimento terapeutico. Poi, una molla mi ha spinto ad andare avanti e quella paziente adesso è salva». È una donna di Chieti, 43 anni e due figli, quella che neurochirurghi, radiologi interventisti, anestesisti e rianimatori dell’ospedale di Pescara hanno strappato alla morte con un intervento durato 8 ore, 16 giorni fa. È ricoverata in Rianimazione ma quella donna, arrivata in condizioni disperate a causa di un aneurisma dissecante di un centimetro, è ancora la mamma dei suoi figli, uno di appena 6 mesi. «La aspetta una terapia riabilitativa lunga», spiega Vincenzo Di Egidio, primario della Radiologia che l’ha operata, «ma è viva: parla, ride e scherza con noi».

Un caso «raro», affrontato per la prima volta a Pescara, perché due interventi differenti e ormai diventati quasi di routine sono stati abbinati uno all’altro aumentando i rischi su una paziente già in pericolo di vita: «La donna, con una emorragia cerebrale devastante provocata dalla rottura dell’aneurisma, è arrivata al Pronto soccorso in condizioni disperate. Immediatamente», dice Di Egidio, radiologo interventista arrivato a Pescara dal 2013, «una Tac al cranio ha evidenziato l’emorragia massiva che comprimeva il cervello». Di qui, è cominciata una corsa contro il tempo: lo staff della Neurochirurgia, diretto dal primario Piero Iovenitti, ha eseguito quella che nel gergo degli ospedali si chiama «craniotomia decompressiva»: vuol dire aprire un lato della testa di una persona per far fuoriuscire il sangue e ridare così la pressione normale al cervello. Quasi un intervento da serie televisiva ma, stavolta, in gioco c’era davvero la vita di una persona. Dopo la prima fase dell’operazione, eseguita anche grazie agli anestesisti e ai rianimatori coordinati da Tullio Spina, sono entrati in campo i radiologi interventisti dello staff di Di Egidio: «Una molla mi ha spinto ad andare avanti quando la situazione sembrava davvero compromessa», racconta Di Egidio mostrando la faccia umana della sanità, quella che resta nascosta dietro la freddezza dei conti e dei tagli, «contro di me c’era anche il parere autorevole di altri medici ma quella possibilità su cento di salvare la paziente, alla fine, abbiamo deciso di percorrerla fino in fondo. Lo abbiamo fatto per la sua età, per i suoi figli. Così, con una puntura dall’inguine abbiamo neurovigato con un microcatetere fino a riparare l’arteria danneggiata con spirali in titanio». Si chiama «embolizzazione». «Non era facile perché un secondo sanguinamento nel cervello sarebbe stato letale: si muore nella quasi totalità dei casi», dice il primario che il direttore generale Asl Claudio D’Amario ha voluto per fare mobilità attività. Adesso quel centimetro di troppo che ha provocato l’emorragia – un rigonfiamento dell’arteria grande come la punta di un dito – non c’è più. Ma è un miracolo se la vita ha battuto la morte o è stata la scienza a vincere? «Tutti e due», sorride il primario, «ma serve anche questo per resistere e andare avanti».

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