I cinesi nel mirino della mala Spunta l’ombra di una banda 

La cruenta rapina in casa subita dal titolare dei ristorante stabilimento Hai Bin è la quarta in un anno Ma nel sottotetto del palazzo di piazza primo Maggio la polizia ha trovato le impronte degli aggressori

PESCARA. A volto scoperto, con una destrezza acrobatica, i guanti e una donna a fare da palo: sono questi gli elementi che sembrano accomunare la terribile rapina di lunedì pomeriggio ai danni del titolare dello stabilimento-balneare Hai-Bin con i colpi messi a segno nell’ultimo anno ai danni di altri imprenditori cinesi, tra cui la stessa figlia di Ye Liang Shi. Un dato che emerge dai racconti del 74enne malmenato, ferito e legato lunedì nella sua casa al quinto piano di piazza Primo Maggio da tre banditi, e da quelli delle altre vittime, e che farebbe pensare a un’unica banda. Lo diranno le indagini della squadra Mobile che ieri è tornata nel palazzo di piazza Primo maggio con gli esperti della Scientifica. E nel sottotetto dell’edificio gli investigatori hanno rilevato almeno 4 orme di scarpe e alcune impronte lasciate dai banditi sulla porta blindata scardinata presumibilmente il giorno prima dell’agguato, e da cui poi sarebbero penetrati lunedì in attesa che l’imprenditore rincasasse.
«I cinesi sono nel mirino dei ladri perché pensano che siamo ricchi» si sfoga la famiglia dell’imprenditore, che non è assicurato, e che chiede a gran voce l’installazione di telecamere nel palazzo e nel centro cittadino. E in effetti la cronaca lo conferma: nell’arco di un anno tre furti (denunciati) sono andati a segno con bottini consistenti tra gioielli e migliaia di euro in contanti. Il quarto, un tentativo di furto è stato sventato dai padroni di casa che hanno messo in fuga giovanissimi ladri. I primi due colpi, tra l’estate e l’autunno dello scorso anno. Uno in via Carducci, nell’agosto 2017, dove i ladri hanno svaligiato l’abitazione del titolare del ristorante Shangai, sul lungomare. E una tentata rapina in centro, alcuni mesi fa, con i ladri fotografati mentre scappavano a piedi con i borsoni vuoti, auricolari e guanti, ai danni di una delle figlie del capostipite dello stabilimento Hai Bin. Una storia che, purtroppo, si è ripetuta anche lunedì pomeriggio quando, intorno alle 16, nel rincasare dal ristorante, Ye Liang Shi (Enzo per tutti) è stato massacrato di botte dai banditi, ricostruendo proprio ieri l’accaduto davanti ai poliziotti della Mobile. Il 74enne, fondatore 30 anni fa del ristorante Hai Bin, sulla riviera nord, ha riferito agli inquirenti di essere stato pestato a sangue da tre giovani stranieri «30-35 anni, a volto scoperto, che parlavano italiano con accento dell’Est», forse romeni, bulgari o sloveni. Ha riferito anche di una donna che «faceva da palo e che comunicava con i complici con un telefonino»
L’anziano, in preda al terrore e sotto la minaccia di un cacciavite puntato alla gola, e con il quale è stato ferito ripetutamente alla testa, ha visto in faccia i suoi persecutori. Ricorda che erano di media altezza, pelle olivastra e che indossavano dei guanti da lavoro. Sarebbero entrati nell’appartamento sfondando con i piedi una finestra del bagno che dà sulla corte interna al palazzo.
Sulla base delle tracce lasciate dai banditi, si risalirà alle modalità d’azione dei criminali. Secondo le prime ipotesi, la porta d’acciaio potrebbe essere stata scardinata con lo stesso lungo cacciavite usato per picchiare il ristoratore cinese, finito in ospedale con la testa sanguinante, lunedì nel pomeriggio, e uscito a notte fonda con cerotti, bende e il gesso al polso. I banditi potrebbero aver avviato e portato a termine il lavoro in tempi diversi, a distanza di ore. Potrebbero essere scesi nell’appartamento con l’aiuto di funi. Un colpo che, come ha raccontato la vittima, poteva finire in tragedia se i banditi non avessero trovato i soldi che cercavano: 12mila euro, un Rolex da 7mila, documenti, chiavi e cinque buste di indumenti, scarpe e borse.