Il giudice: «Morosini poteva sopravvivere Ecco perché ho condannato i tre medici»

PESCARA. I medici «erano tenuti all'uso del defibrillatore» e, qualora fosse stato utilizzato, la probabilità di salvare Piermario Morosini sarebbe stata «intorno al 60/70 per cento». Così nelle...

PESCARA. I medici «erano tenuti all'uso del defibrillatore» e, qualora fosse stato utilizzato, la probabilità di salvare Piermario Morosini sarebbe stata «intorno al 60/70 per cento». Così nelle motivazioni, il giudice monocratico Laura D'Arcangelo spiega perché ha condannato i tre medici che intervennero in campo per prestare soccorso al calciatore del Livorno, Piermario Morosini, morto a 26 anni il 14 aprile 2012 a seguito di un malore allo stadio durante l'incontro di calcio Pescara - Livorno. Il ragazzo si accasciò a terra al 29' del primo tempo a causa di un arresto cardiaco per fibrillazione ventricolare «indotta dalla cardiopatia aritmogena da cui era affetto e dallo sforzo fisico intenso» e morì poco dopo all'ospedale.

Il giudice punta il dito contro il medico del 118 Vito Molfese, condannato a un anno, il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e il medico del Pescara Ernesto Sabatini, condannati entrambi a 8 mesi, sottolineando che i tre «intervenuti in soccorso di Morosini nei primi minuti dopo il malore, avrebbero dovuto, una volta effettuate le manovre prodromiche, procedere alla defibrillazione». «I protocolli per gli interventi di emergenza», puntualizza il giudice, «pur prevedendo diverse fasi indipendenti, presentano come momento imprescindibile quello della defibrillazione».

Secondo il giudice, «poiché il defibrillatore è uno strumento di facilissimo utilizzo», è del tutto evidente come il suo utilizzo debba essere parte del necessario bagaglio professionale di qualsiasi medico, anche non specialista». D'Arcangelo non ha dubbi: «Ognuno degli imputati avrebbe dovuto, constatati i sintomi, verificare, se ce ne fosse stato bisogno, la disponibilità di un defibrillatore». Nel caso specifico, risulta che il defibrillatore «era presente sul campo, aperto e pronto all'uso, posizionato esattamente accanto alla testa di Morosini». Il giudice poi esclude «qualsiasi incidenza, in termini di responsabilità degli altri medici, del ruolo di leader eventualmente attribuibile a uno di loro», in virtù del fatto che «l'utilizzo del defibrillatore in tale frangente costituisce una procedura codificata e non connessa ad alti livelli di specializzazione». Una considerazione che non impedisce al tribunale di delineare una graduazione delle responsabilità sotto il profilo della colpa. Dopo avere evidenziato come dalle linee guida «non sia ricavabile una regola precisa e consolidata che codifichi l'attribuzione dei ruoli nell'esecuzione di una rianimazione cardiopolmonare», D'Arcangelo sostiene che «il ruolo di leader avrebbe dovuto essere assunto da Molfese» perché «era sicuramente il soggetto più esperto, essendo istituzionalmente addetto, come responsabile del servizio del 118, alla gestione delle emergenze sul territorio». Il tribunale poi smonta la tesi difensiva secondo la quale il 118 doveva, in quella sede, solo garantire il soccorso di emergenza agli spettatori. «Il dato di fatto incontrovertibile, infatti, è che Molfese - doverosamente, a parere del Tribunale - è intervenuto, instaurando così quel rapporto terapeutico che è di per sè produttivo dell'instaurazione della posizione di garanzia». Per quanto riguarda la convenzione stipulata dalla Asl di Pescara sulla prestazione del servizio di assistenza sanitaria di emergenza ai giocatori e alla tifoseria, sottolinea che, pur essendo stata protocollata in data successiva ai fatti per cui si procede e «qualora i termini non fossero stati portati a conoscenza degli operatori del 118», «è difficilmente contestabile che rientri tra i compiti del servizio sanitario nazionale quello di garantire il livello assistenziale di emergenza sanitaria con carattere di uniformità in tutto il territorio» e «non può che riguardare qualsiasi soggetto coinvolto e, quindi, a prescindere da una specifica convenzione, anche i giocatori in campo nel corso di una manifestazione sportiva».

Le conclusioni di D'Arcangelo sono perentorie: «Tutti i sanitari imputati», che nei primi tre minuti dal collasso si sono avvicendati nel prestare i primi soccorsi al giocatore del Livorno, «avrebbero potuto, tendendo la condotta doverosa, interrompere il decorso della malattia e impedire l'evento».

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