Il libro mastro delle tangenti: ecco i pagamenti all’ex presidente Aca 

Le motivazioni della sentenza di condanna a 8 anni inflitta dal tribunale a Ezio Di Cristoforo  Decisive le dichiarazioni dell’imprenditore D’Alessandro: «Mi chiedeva soldi in continuazione» 

PESCARA. «Ritiene il tribunale che Ezio Di Cristoforo non sia stato corrotto da Claudio D'Alessandro, bensì che abbia indotto indebitamente quest'ultimo a consegnare e promettere (al Di Cristoforo) ingenti somme di denaro in cambio di aggiudicazioni illecite di gare di appalto bandite dall'Aca».
Il collegio che il 25 marzo 2019 condannò l'ex presidente Aca Di Cristoforo a 8 anni di reclusione e il direttore Lorenzo Livello (responsabile delle gare) a 3 anni di reclusione, nelle motivazioni della sentenza depositate a tempo da record il 5 aprile scorso, non ha dubbi su quel sistema di tangenti che regnava in Aca sotto la guida di Di Cristoforo. «La spregiudicatezza criminale evincibile dalle condotte di Di Cristoforo, dominus assoluto e beneficiario principale dell'intera trama criminale, è di ostacolo alla concessione delle attenuanti generiche».
I cardini dell'accusa restano la testimonianza dell'imprenditore D'Alessandro, che confessò di aver pagato all'ex presidente il 5/6 per cento di tangenti sul totale dei vari appalti, e soprattutto il "libro delle tangenti" trovato dagli inquirenti.
I giudici (presidente Villani, a latere Manduzio e De Renzis) evidenziano a riguardo la testimonianze di Michele Brunozzi, l'investigatore dei carabinieri forestali che proprio nell'ufficio dell'imprenditore (che patteggiò la pena in udienza preliminare), trovò «all'interno della memoria di un computer la traccia di un file cancellato avente nome "pagamenti per contanti". Tale atto era né più né meno il "libro delle tangenti" corrisposte da D'Alessandro, essendovi riportati date, acronimi di nomi di persone fisiche, cifre, enti pubblici e dati numerici».
«Da tale "libro mastro delle tangenti”», aggiungono i giudici, «emergeva la variegata rete illecita creata da Claudio D'Alessandro per aggiudicarsi, soprattutto, gli appalti al di sotto della soglia comunitaria banditi da enti pubblici locali».
Quanto alla individuazione delle persone fisiche tratteggiate nel documento, l'investigatore Brunozzi aveva illustrato «il ragionamento logico che lo aveva indotto a identificare» "Alessandro gallina" nel geometra in servizio all'Ater di Chieti, Alessandro Faraone; "Cif" nel dipendente della Provincia dell'Aquila, Domenico Cifani; "Cesarino" nel vice sindaco di Cepagatti, Cesarino Leone; "militare coccia pelata" nel colonnello dell'esercito William Basciano; "ganghetta" nel presidente Ater di Chieti Marcello Lancia; "orso marsicano" nell'imputato Ezio Di Cristoforo": nomi di personaggi originariamente coinvolti nell'inchiesta, le cui posizioni sono state definite durante il percorso del procedimento.
D'Alessandro, stando a quanto da lui stesso riferito al collegio, era costretto a segnarsi tutto: «La richiesta di soldi era talmente esasperata», dice l'imputato-teste, «che pur di non dimenticare mi prendevo questi appunti perché lui mi chiedeva in continuazione ’sti soldi». Il meccanismo di gara viene spiegato così in sentenza, in base alla confessione dell'imprenditore che spesso agiva direttamente per alcune società, ma anche per quelle a lui riconducibili.
«Chiarendo di utilizzare queste ultime», scrivono i giudici, «per partecipare agli appalti. Infatti, il sistema illecito messo in piedi dal teste prevedeva l'utilizzo di "cordate di società": vi era la partecipazione alle gare di un consistente numero di società compiacenti, le offerte delle quali (elaborate a tavolino da D'Alessandro, il quale a sua volta aveva preventivamente concordato l'invito di tali società con il responsabile delle gare) determinavano la percentuale di ribasso e orientavano l'aggiudicazione dell'appalto». Per i giudici le dichiarazioni dell'imprenditore D'Alessandro «avevano ricevuto una marea di riscontri esterni». Gli accertamenti relativi alla cassetta di sicurezza di D'Alessandro e gli accessi alla stessa in concomitanza con gli sblocchi degli stati di avanzamento dei lavori in base ai quali avvenivano le dazioni; i transiti autostradali estrapolati dal sistema telepass; i dati del traffico telefonico; gli appunti rinvenuti nel computer sui pagamenti; l'effettiva esistenza di una rete di società attive nei pubblici appalti; il denaro utilizzato da Di Cristoforo per la costruzione della sua abitazione e per il pagamento delle cure mediche che, «non provenendo dai conti correnti dell'imputato ragionevolmente proveniva dalle tangenti»; i documenti interni all'Aca rinvenuti nella disponibilità dell'imprenditore e molto altro. Una sentenza piuttosto pesante che è già stata appellata dalle difese dei 2 imputati condannati.