Il pescatore: ho lottato, non volevo morire 

Parla il 35enne abruzzese soccorso al largo: «Ho patito freddo e sete, il pensiero di mio figlio di sei anni mi ha salvato»

PESCARA. È rimasto 40 ore in acqua ed è «salvo per miracolo» nel giorno in cui il beato Nunzio è diventato santo.
Giovanni Amodio, il pescatore di Martinsicuro di 35 anni disperso per due giorni e ritrovato vivo nelle acque gelide dell’Adriatico, tra Martinsicuro e Pescara, pensava di morire assiderato. Che quel mare che gli dà da vivere, diventasse la sua tomba.
Solo. Disidratato. Affamato. Nel silenzio delle notti sentiva il ronzio degli elicotteri e dei natanti del soccorso, ma «non mi hanno visto». Forse il pescatore era fuori della loro rotta, chissà dove.
Non poteva neppure aggrapparsi alla sua imbarcazione, la San Gabriele quarto, inabissatasi intorno all’una di venerdì notte. Ha resistito e lottato perché voleva veder crescere il figlioletto di sei anni che si chiama Renato, come il nonno.
Sotto di sè un abisso di settanta metri di profondità marina. Alla fine, dopo aver galleggiato per cinquanta chilometri, si è ritrovato di fronte al porto di Pescara dove è stato ripescato del suo salvatore , Giuseppe D’Addario in gita di piacere con altri amici.
Amodio è stato avvistato, issato a bordo, rifocillato, gli hanno dato persino un cambio d’abito e condotto all’ospedale di Pescara. È stato ricoverato nel reparto di Medicina, settimo piano, ala Est, diretto da Paolo Di Bartolomeo. Il quale spiega che il paziente è stato ricoverato per una “sindrome da immersione con rabdomiliosi”, un danneggiamento dei tessuti muscolari. Le sue condizioni di salute sono in via di miglioramento e tra qualche giorno sarà dimesso. È assistito dalla moglie Rossana Bruglia di San Benedetto e dalla madre Daiana Cistola di Martinsicuro. il Centro ha incontrato il marittimo nel suo letto d’ospedale.
Signor Amodio, ci racconti il suo venerdì di terrore.
Sono uscito in mare intorno alle 17.30. C’era un po’ di maretta, ma niente che non potessi affrontare dopo ventidue anni in mare. Ho portato le reti al largo, a otto miglia dalla costa. Pensavo di prepararmi un panino e aspettare il pescato. Tornare a casa sarebbe stato troppo costoso. A un certo punto, sento le reti incastrate nelle eliche. Con un coltello ho provato a tagliarle per disincagliare, ma non ci sono riuscito.
Quindi, che cosa è successo?
La barca si è rigirata e si è inabissata a poppa. Ho preso a volo il salvagente e sono caduto in acqua.
È rimasto aggrappato al natante?
Se lo avessi fatto, sarei rimasto intrappolato nelle reti, risucchiato tra le onde e morto soffocato.
Ha avuto paura?
Tantissimo. Pensavo al mio bambino, alla disperazione di mia moglie e di mia madre, a cui ho telefonato subito appena in salvo. Ho patito il freddo, avevo sete, è stato terribile.
Perché è uscito solo in mare?
Lo sono sempre. La barca è piccola, cinque metri e mezzo, non può ospitare altre persone. Ringrazio i sommozzatori che me l’hanno recuperata, ho pianto, la nostra vita è dura.
Ha tentato di nuotare verso la costa?
Si, ci ho provato. Ho nuotato e galleggiato per 40 ore. Ma perdevo l’orientamento. Fino a quando ho capito di essere a Pescara.
Ha pensato di morire?
Ero certo che sarebbe successo. Ho lottato per la mia famiglia, ma forse San Nunzio mi ha fatto il miracolo e mi ha salvato la vita.
I soccorsi sono scattati immediatamente dopo l’allarme lanciato da i suoi familiari.
Si, sentivo gli elicotteri che mi giravano sulla testa ma nessuno mi ha visto.
Poi sono arrivati i salvatori.
Che non finirò mai abbastanza di ringraziare. Quando starò meglio ci facciamo una bella mangiata. Hanno visto il mio salvagente rosso, io che mi agitavo. Mi hanno buttato la cima e issato a bordo, ho bevuto acqua e mangiato baccalà. Ho avuto un cambio d’abito e mi hanno accompagnato al pronto soccorso. A Giuseppe e ai suoi amici devo la vita.
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