Il ritorno di Inge e quel dito rotto nel viaggio a Pescara

Intervista a Inge Feltrinelli, a Pescara per l'inaugurazione della sede della libreria

PESCARA. «Perchè il libro...il libro è bellissimo». C'è tutta l'efficacia della semplicità nelle parole che Inge Feltrinelli usa per chiudere la disputa immaginaria tra carta ed elettronica, tra Gutenberg e Steve Jobs. Alla vigilia del suo arrivo a Pescara, previsto per oggi, per l'inaugurazione della nuova libreria Inge Feltrinelli ha parlato con il Centro di libri e di scrittori, di televisione e di iPad, di un'Italia in cui fare cultura è sempre più complicato e che nel confronto con l'estero è sempre perdente. E soprattutto di giovani. Perché «se gli facciamo vedere solo la tv i nostri bambini cresceranno idioti».

«Sono molto felice di tornare a Pescara», esordisce calorosamente Inge Feltrinelli. «La prima volta che sono venuta era per l'inaugurazione della libreria, nel 1993. Sono arrivata in treno e durante il viaggio, non so bene come, mi sono rotta un dito. Ma c'era l'inaugurazione, così non ho avuto il tempo di andare al pronto soccorso. È finita che ancora oggi il mio dito è un po' storto. È diventato il dito di Pescara».

Signora Feltrinelli, si può fare cultura in un paese come l'Italia in cui i tagli dei fondi per musei, biblioteche, produzioni cinematografiche, enti lirici, teatri sono all'ordine del giorno?
«La cultura è importantissima. E proprio per questo va stimolata. Se lasciamo i bambini davanti alla tv avremo una generazione idiota».

In un paese che, proprio in campo televisivo, ha un certo tipo di offerta, che stimolo si può offrire alle nuove generazioni, e magari anche alle vecchie?
«Penso ad esempio a programmi come quelli che si vedono in Francia, in cui un intellettuale fa da moderatore e spiega perché è importante leggere un determinato libro. In Italia potremmo fare una trasmissione di questo tipo con Umberto Eco, ad esempio. Si può fare, non è impossibile. Quella per stimolare la diffusione della cultura è una mia vecchia battaglia, ma in questo paese si fa poco o niente in questo senso. Anche le istituzioni culturali, come ad esempio le biblioteche, sono messe molto male. Non hanno i computer, non hanno il personale. Siamo indietro su tutto. Anche i libri scolastici e i programmi ministeriali sono troppo antichi. Negli altri paesi europei è tutto più moderno. Anche perchè ormai i ragazzi sono così maturi. A dodici anni, oggi, possono leggere tutto Hemingway».

I dati Istat anche nel 2010 hanno confermato quello che si dice da sempre: gli italiani leggono poco. Come si riesce a fare editoria con un pubblico di questo tipo?
«I lettori vanno stimolati. Le librerie devono essere punti di incontro, luoghi in cui si dà appuntamento alla fidanzata, posti attraenti. La libreria non può e non deve essere un tempio di cultura totale. Ci devono essere anche la musica, i giochi, la cartoleria. Insomma, bisogna fornire un'offerta stimolante. La gente vuole annusare, toccare. Poi magari la prossima volta torna in libreria e decide di comprare. E poi bisogna avvicinare i bambini alla lettura. Per questo sono molto fiera del progetto che stiamo portando avanti con Reggio Children, la società del comune di Reggio Emilia che ci ha aiutati a realizzare in tutte le nuove librerie e che ci sarà anche a Pescara, dei reparti interamente dedicati ai bambini con scaffali speciali, metodi speciali per far entrare in contatto i bambini con i libri».

Negli ultimi anni, e ancora di più negli ultimi mesi con la diffusione dell'iPad, si fa un gran parlare di libri elettronici. Pensa che siano davvero il futuro?
«Noi come editori ci siamo attrezzati anche per vendere i libri elettronici, ma il mio parere personale su questo tipo di strumenti è che siano solo gadget. Vede, un anno e mezzo fa sembrava che l'iPad fosse una cosa unica. Oggi in vendita c'è già l'iPad 2. E poi io sono una dinosaura. Io amo il libro anche come oggetto. Il libro è sensuale, si deve toccare, annusare, il lettore deve sentire la carta. Insomma, io sono una vecchia battagliera per Gutenberg. I libri elettronici magari possono essere utili agli studenti, per portare meno peso. Ma un libro è un oggetto bello. E costa dieci euro, meno di una pizza. Insomma, è che il libro...il libro è bellissimo».

Gli italiani non leggono, ma a quanto si dice scrivono molto. Qual è il criterio che usa chi di mestiere deve scegliere cosa pubblicare e cosa lasciare in un cassetto?
«Non c'è un criterio e non ci sono regole precise. Ogni libro ha il suo destino, la sua fortuna o il suo totale flop. E non sempre è prevedibile. Noi comunque investiamo anche su libri che sappiamo che non si venderanno. O meglio, che sappiamo che non sono quello che il pubblico vuole e quindi difficilmente diventeranno un best seller. Gli editori di qualità devono pubblicare anche questo tipo di libri».

Se dovesse consigliare un autore esordiente, o comunque qualcosa che non sia un classico, cosa sceglierebbe?
«In questo momento Erri De Luca. È raffinatissimo, bravissimo. Ogni suo libro è un gioiello».

Tra i classici invece cosa non si può assolutamente perdere?
«Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma anche un bel libro di Italo Calvino, le opere di Primo Levi sul nazismo».

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