Motopeschereccio attraccato tra la fanghiglia del porto canale

PESCARA

«Intrappolati dal fango, blocchiamo il porto» 

Quaranta proprietari di imbarcazioni sul piede di guerra: «Dragaggio subito. I pescatori non possono né entrare né uscire, il taglio della diga non basta»

PESCARA. Quaranta armatori, da oggi, «in stato di agitazione». Protestano contro «i fanghi del fiume e l’inerzia istituzionale e amministrativa». Chiedono il «dragaggio subito» e minacciano «di mettere le barche di traverso» per bloccare gli ingressi e le uscite dal porto canale.

Francesco Scordella mostra il basso livello del fondale
E nel frattempo tornano, come già avvenuto qualche anno fa, a camminare sulle acque del lungofiume, sempre meno fiume e sempre più alveo fangoso. Hanno atteso che i pescaresi finissero di godersi una delle feste più amate, dedicata al santo patrono dei pescatori, Sant’Andrea, per riaccendere i fuochi della polemica dopo aver spento quelli pirotecnici.
Ieri pomeriggio, sul molo sud, adombrato dal ponte del mare che si specchia sulle acque torbide del porto canale (meno di un chilometro, circa 40 metri di larghezza), è esplosa la rabbia di una rappresentanza della marineria, composta da Mimmo Grosso (proprietario del Nausicaa), Francesco Scordella ( Cuore di Gesù), Lucio Di Giovanni (Maria Teresa) e Massimo Camplone (Sharon).

Massimo Camplone (Sharon)
Francesco Scordella, presidente dell’associazione Armatori con 40 iscritti, ha percorso poche decine di metri lungo la banchina sud, si è quasi denudato ed è sceso nel fiume, all’altezza dello svincolo dell’asse attrezzato nelle vicinanze della Guardia costiera. Sicuro di non andare a fondo.
L’acqua arriva alle ginocchia. «Non saranno neppure trenta centimetri e sotto i miei piedi c’è solo melma, ecco qui» dice mostrando i piedi luridi dopo la risalita. Ma prima si fa una passeggiatina tra una imbarcazione e l’altra dove in superficie affiorano alghe e fanghiglia. Un fiume di fango che riemerge alla vista di chiunque, che i pescatori «toccano con le mani».
E «la situazione peggiora quando la marea si abbassa in alcune ore del giorno» chiarisce Di Giovanni.
Camplone prende un’asta e rimisura i centimetri di quella poltiglia verdastra.
I toni della voce si alzano. «Qualcuno ci dica di che morte dobbiamo morire. I pescatori non possono entrare nè uscire, negli anni la situazione si è aggravata, vogliamo sapere che futuro ci aspetta. La diga non c’entra nulla, non è un taglio che risolve. Un mese fa il governatore Luciano D’Alfonso ci promise l’aumento del taglio della diga da 70 metri a 100 per mettere in ulteriore sicurezza i pescherecci, ma non ne abbiamo saputo più nulla».
La protesta della marineria è rivolta a «Comune, Regione, Guardia costiera, Provveditorato e autorità portuale di Ancona, che ha di nuovo giurisdizione su di noi da qualche mese. Ci facciano conoscere il nostro futuro dal momento che nell’ultimo incontro, ci è stato detto a chiare lettere che il dragaggio non si può fare perché c’è la difficoltà a smaltire i fanghi, considerati rifiuti speciali. Inoltre, è una operazione molto costosa, e sono queste le ragioni per cui Pescara non dispone dei mezzi necessari al dragaggio che dovrebbe essere continuo, costante, periodico».
Invece l’ultimo intervento a quando risale?
«Se si esclude il palliativo del 2015, l’ultimo vero dragaggio c’è stato nel 1992, anno dell’alluvione». Ventisei anni fa. Gli armatori denunciano, e mostrano le immagini dai telefonini, i danni causati dalla melma che si struscia sotto la chiglia delle imbarcazioni: «Abbiamo le eliche distrutte, lo scandaglio, i motori. Sono danni economici ingenti».
Le barche sono di grosso cabotaggio e sono ancorate ad una certa distanza dai moli: «Non possiamo avvicinarci, la quantità di fango è talmente impressionante che ci costringe ad ancorare le imbarcazioni in mezzo al porto canale. Inoltre non abbiamo la dotazione dei parabordi di gomma, che vengono messi a protezione degli urti».
La rabbia dei pescatori si spegne solo un attimo, per fare posto alla disperazione: «Perché qui la situazione è disperata se non riusciamo a far transitare le barche lungo il fiume per andare in mare aperto. Non ci sono altre possibilità, solo il dragaggio può salvarci. È l’unica».
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