«L’Alzheimer è una tragedia anche economica, da studiare»

Il docente di Economia della D’Annunzio è stato appena nominato da Enrico Letta nel Comitato nazionale di Bioetica: «Servono specialisti per temi così complessi»

di Federica D’Amato

La squadra è di primo livello. Tra i nomi messi in campo dal premier Enrico Letta nel Comitato nazionale di Bioetica in carica fino al 2015 c’è quello di Bruno Dallapiccola, uno dei più grandi genetisti al mondo; quello di Carlo Flamigni, medico, accademico e scrittore italiano, luminare nel campo della riproduzione e fecondazione assistita; e ancora lo scienziato Silvio Garattini, medico e docente in chemioterapia e farmacologia, direttore del Mario Negri; di Francesco Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea a La Sapienza, firma de Avvenire, Il Foglio, Corriere della Sera, Osservatore Romano.

Massimo Sargiacomo, economista, è l’unico nome abruzzese del team. Docente di Economia aziendale all'università d'Annunzio di Chieti-Pescara, ha sempre avuto, sin dagli albori della sua carriera, tutte le carte per ricevere riconoscimenti di caratura internazionale, a giudicare dal curriculum vitae et studiorum di assoluto prestigio. E in questi giorni anche la sua città lo premia con il Ciattè d’oro, destinato a quei cittadini che sono nati a Pescara e si sono distinti per il proprio operato .

. Professore, la nomina da parte del presidente Letta come membro del Comitato nazionale di Bioetica: inaspettata?

«Le dirò, in passato sono stato 4 anni Esperto di economia sanitaria per il Consiglio Superiore di Sanità, sotto il ministro Livia Turco, e nell'area sanitaria da molti anni sono coinvolto in più attività, come tecnico e manager, quindi intuivo che potevo rientrare nel gruppo di lavoro, che potenzialmente potevo essere nominato. Però è chiaro che da qui a vedere il mio nome su di un decreto insieme a figure di altissimo livello come Flamigni o Garattini e molti altri, beh, questo non potevo immaginarlo!».

L'università in Italia negli anni è molto cambiata, tra riforme, forti mutamenti sociali e caotici interscambi generazionali. Ora che tutti gridano alla fine dei grandi maestri e quindi dell'idea stessa di accademia, lei cosa ha da dire?

«Se noi guardiamo la curva di finanziamento del sistema universitario nazionale penso che nel 2013, in confronto al 2002 o il 2003, il governo abbia assunto un atteggiamento assolutamente anacronistico. Se il taglio alla spesa universitaria fosse stato effettuato in maniera proporzionale alla Sanità, la cui spesa invece fino al 2012 è continuata a salire, credo che avremmo avuto – e di certo ce lo saremmo meritati – le persone in piazza a manifestare. In Italia l'università è considerata fanalino di coda per quanto riguarda la spesa pubblica: con i tagli che vengono effettuati, penso al mio ateneo, alla d'Annunzio, è come se ad una famiglia venisse tolto il 40% sul totale delle entrate. Dal punto di vista della governance, quindi, il problema è tecnico ed il nostro governo negli ultimi anni non ha investito nello sviluppo del Paese. Per quanto riguarda l'aspetto accademico, io ricordo i miei grandi maestri, credo il loro esempio sia ancora valido, ma come lei afferma, questa università è qualcosa di completamente diverso da quella che io ho frequentato. Il modello è anglosassone, ma bisogna che questo modello venga sperimentato, metabolizzato dal nostro».

Lei insegna Economia aziendale, ha una formazione di altissimo livello in ambito economico e, dunque, non posso evitare di chiederle: se dovesse considerare la situazione italiana degli ultimi 20 anni, a bruciapelo, in quale parola la racchiuderebbe?

«Più che in una parola, in una frase abbastanza ricorrente: “Abbiamo mancato di fare le riforme”. Abbiamo un paese con grandissime potenzialità, ma negli ultimi decenni - diciamo subito dopo il periodo della crisi del Golfo, la recessione, la guerra –, nei primi anni Novanta non abbiamo sfruttato tutte le nostre potenzialità, le opportunità per riformare. Il ruolo dei tecnici sarà sempre quello di cercare di offrire nuove soluzioni ai politici, ma i politici, in generale, dovranno spingersi sempre di più nell'ambito della tecnica proprio per suggerire nuove prospettive al paese».

Ci faccia un esempio.

«In Italia non esiste un calcolo preciso sui costi del morbo d'Alzheimer; intendo il costo del danno emergente, intendiamoci, non quello delle cure ma del danno sociale, del disagio nelle famiglie. Gli studi stranieri riportano un impatto di 30-40.000 € a famiglia, per una solo persona affetta dal morbo. Immaginiamo che questa persona sia un uomo di 40 anni che lavora e a causa del male perda il posto di lavoro, cosa succede? Lo stesso vale per i diversamente abili».

La mancanza di investimento nelle riforme strutturali è legata alla cosiddetta “fuga dei cervelli” dal nostro Paese all'estero: lei crede sia una scelta autonoma od obbligata?

«Io ritengo che sia ancora una scelta autonoma, sebbene le confesso che mi piacerebbe poterle rispondere sapendo quali sono i dati del finanziamento 2014-2015, ma purtroppo nonostante il nostro Ministero ci avesse promesso di farci avere tali informazioni, esse non sono ancora arrivate. Certo, se la spesa continuerà a diminuire la scelta dei nostri ricercatori di andare all'estero sarà sicuramente obbligata».

Quali sono i libri che il professore Sargiacomo, decifratore di numeri e dati, porta sempre con sé?

«Dunque, penso a due volumi: il primo, che mi piace tantissimo, è “La Ragioneria” di Fabio Besta, un manuale dei primi del '900 che dimostra come i nostri contabili allora fossero già internazionalizzati, citavano l'inglese, il francese, il tedesco e addirittura si dimostra come gli specialisti stranieri venissero in Italia a studiare la nostra lingua. Il secondo libro è di Elio Borgonovi, docente della Bocconi, “Principi e sistemi aziendali per le pubbliche amministrazioni”».

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