L’eleganza eterna nelle foto di moda di De Antonis

TERAMO. Abiti sontuosi, stoffe preziose, panneggi come sculture, fotografati tra le spettacolari scenografie di statue neoclassiche, scorci archeologici, palazzi patrizi. L'alta moda dei grandi sarti...

TERAMO. Abiti sontuosi, stoffe preziose, panneggi come sculture, fotografati tra le spettacolari scenografie di statue neoclassiche, scorci archeologici, palazzi patrizi. L'alta moda dei grandi sarti del dopoguerra e i luoghi e la luce della Città Eterna. Solo l'occhio di un sublime e colto fotografo poteva sposare nella stessa inquadratura due mondi così prepotentemente caratterizzati dalla bellezza. Il teramano Pasquale De Antonis (1908-2001), artista della fotografia, fece uscire le modelle dagli atelier per ritrarle con i capi di Schubert o delle sorelle Fontana nelle vie, tra i monumenti, nelle dimore aristocratiche. Ecco una modella nella Galleria Borghese seduta accanto a Paolina Bonaparte, e ancora la statua del Canova ammantata di volpi, Marella Caracciolo nelle sale di palazzo Torlonia, le indossatrici tra le vestigia delle Terme di Diocleziano o davanti agli affreschi di Raffaello nella villa Farnesina. Una mostra a Torino rende omaggio alla fotografia di moda di Pasquale De Antonis, che pure costituisce solo una parte dell'ampia eterogenea produzione dell'autore teramano, ritrattista ricercatissimo, pioniere della fotografia antropologica come di quella astratta, fotografo di scena di Visconti e testimone insostituibile del teatro di regia del secondo dopoguerra. "Vestire Creare Apparire Fotografare" è il titolo della mostra torinese ospitata nello spazio espositivo di Ersel, in via Solferino, curata da Enrica Viganò. L'esposizione, aperta fino al 21 dicembre, è inserita nel ciclo di eventi e incontri "Voce del verbo moda" organizzato dal Circolo dei Lettori di Torino. "Vestire Creare Apparire Fotografare" mette insieme i tre super fotografi, De Antonis e i lombardi Ugo Mulas (1928-1973) e Alfa Castaldi (1926 - 1995), che nel dopoguerra seppero meglio interpretare un fenomeno cruciale per il rilancio dell'immagine e dell'economia di un Paese ancora memore degli stenti e non ancora travolto dal boom economico. Grazie al figlio Riccardo, anche lui fotografo di talento, compagno di lavoro del padre per vent'anni, di Pasquale De Antonis sono esposte 25 immagini, scattate a partire dal 1948, tratte da servizi fotografici realizzati per i maggiori atelier e per le riviste Vogue e Harper's Bazar. Spiega la curatrice: «Pasquale De Antonis è il fotografo che più ha saputo definire e interpretare l'immagine dell'alta moda romana nella sua prima fase di internazionalizzazione, dagli anni del dopoguerra fino agli anni Settanta. Artista eclettico, apprezzato per la tecnica della coloratura, applicata su stampe fotografiche in bianco e nero virate seppia, De Antonis si allontana dalla tradizionale fotografia d'atelier in uso negli anni Trenta e come un pittore impressionista sceglie per ambientazione le strade, i palazzi, gli interni, e soprattutto la luce di Roma. Un viaggio nel passato solenne della Città Eterna, da contrapporre ai manufatti sartoriali firmati alta moda, simbolo di sfarzo e opulenza ricercati da una società che torna a sperare dopo gli orrori della guerra. Fotografo di dive, di dee, di sacri mostri, De Antonis fu prezioso testimone del suo tempo, cantore di un'epoca segnata da profonde trasformazioni culturali che l'artista seppe raccontare con entusiasmo e originalità». Amico di Ennio Flaiano e Tommaso Cascella (col quale negli anni Trenta seguiva le processioni dell'Abruzzo interno, raffigurate magistralmente nei primi esempi italiani di fotografia antropologica), Pasquale De Antonis si trasferì dall'Abruzzo a Roma nel 1937 per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia, dove strinse amicizia con Pietro Germi, Michelangelo Antonioni, Mario Pannunzio (poi giornalista, fondatore del Mondo). Nel 1939 rilevò lo studio di Arturo Bragaglia in piazza di Spagna, facendone il suo atelier. Nel 1946 iniziò a collaborare con Luchino Visconti come fotografo di scena, e da allora ha immortalato, consegnandola alla storia, l'arte effimera del teatro.

Anna Fusaro

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